Regia di Olias Barco vedi scheda film
Li mortacci sua. Del dr Krueger, un serafico Aurélien Recoing,. O almeno i suoi aspiranti spiranti. Bizzarre creature protese verso l’oblio in pose grottesche. Folli, viziate, assurde anime in pena in ritiro pre dipartita sulle montagne svizzere a inventarsi un modo creativo di darsi la morte, forse per riscattare un’intera vita senza succo. Il bianco e nero acido aiuta a creare l’atmosfera di stupida tragicità che trasuda dalla clinica del novello dottor morte, attentissimo affinché l’ultimo desiderio dei suoi pazienti non si tramuti in un gioco demente e che le intenzioni suicide siano motivate al di là di ogni ragionevole dubbio . Etica dell’ultimo sospiro in confezione nichilista e grottesca, un umorismo cattivo pervade le gesta sconclusionate dei residenti nel castello ficcato nei boschi nella pacifica e tranquilla Svizzera. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, dice il saggio. O il cornuto, a volte. Quello che dovrebbe essere un’isola di umanità nella diffusa retorica del viver ad ogni costo contro ogni razionalità, si tramuta in un gioco al massacro greve che coinvolge i corrotti suicidandi contro le orde di villici, i giusti difensori della vita, che vedono nella clinica un luogo ove si perpetra il male. Non si salva nessuno e il rigore del primo tempo cede il passo ad una farsa umana che sostituisce la tragedia con il delirio. Tra morti assurde, esplosioni di violenza immotivate, omicidi e suicidi farseschi, la storia si chiude con la sensazione di aver assistito ad un barnum di umanità casualmente presente in un luogo a fare esibizione grottesca della terminazione delle vite. Il tema appena sfiorato è sull’etica del suicidio e forse non c’era neppure l’intenzione iniziale di approfondire, oppure, dato il soggetto, il film ha poi preso una destinazione tutta sua, più facile e ad effetto. Cinico ma senza appigli alla realtà e iperbolicamente irriverente, Kill me please rimane in superficie e scivola sulle situazioni affidando al bianco e nero l’aura autoriale ma rivelando un’anima pulp dalla spiccata inclinazione al disagio.
A momenti irresistibili si contrappongono cadute di tono discutibili, si ride anche se a volte si ride male, l’angoscia di vite e facce consunte si misura con l’umorismo brutale che anima le azioni bizzarre di tutti. Alti e bassi da opera prima che non hanno impedito al regista di portarsi a casa il premio del pubblico al festival del cinema di Roma, credo meritato in ogni caso. Se qualcosa difetta in scrittura, la regia, fotografia e il montaggio dal ritmo serrato sono da premio. E in ogni caso ottimi gli attori tutti dalla caratterizzazione scolpita nel bianco e nero tombale come epitaffi di clown tristi, su tutti Aurelien Reconing e Bouli Lanners, quest’ultimo nuovo vate del cinema acido e politicamente scorretto francese.
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