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In un mondo migliore

Regia di Susanne Bier vedi scheda film

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Utente rimosso (SillyWalter)

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La recensione su In un mondo migliore

di Utente rimosso (SillyWalter)
10 stelle

 

 

      Un film di una forza incredibile. IN UN MONDO MIGLIORE ha la grandezza di una natura (umana) che è madre e matrigna: la bellezza senza leggi e senza padroni in cui siamo persi, emozioni che si fermano dietro labbra serrate fino a diventare energia sporca incontenibile, la violenza più assurda e quella più innocente.

 

      Ci sono gli enormi spazi africani, scenari semidesertici, un campo profughi e una bassa catena montuosa in lontananza che continua a ricordarci grandezza e profondità. La vitalità dei bambini e le atrocità inconcepibili che accolgono il medico venuto da lontano. Chi va all'altro capo del mondo per salvare vite e chi uccide il vicino per gioco.

      "Possiamo essere amici, finché non ti ammazzo"

       La natura stessa è impastata di caos, di morte e di vita, di ariosa bellezza e della più insensata crudeltà. Il bene non genera bene. Salvi una vita indegna per lasciarla alla vendetta di una folla. Le piccole regole morali di un uomo contro il riemergere continuo di odio e violenza dal fondo della natura umana. L'uomo torna ad essere solo, lontano mari e deserti dai suoi simili.

 

       Un bambino davanti a una bara parla della madre con le parole di una poesia. È una lingua che muore con la madre. Non ha più nessuno, odia il padre per averla lasciata morire. È solo in una città nuova e nell'ennesima nuova scuola.

 

       La solitudine ha mille forme: un paesaggio visto dall'alto di un silos, uno chalet al mare, la distanza dalla bellezza dei grandi cieli e degli spazi aperti quando rabbia e dolore non sanno che farsene, costretti dietro i confini dei volti.

 

      I padri si arrendono davanti a una madre che muore o davanti alle prepotenze fisiche. I padri non reagiscono e mentono, non dominano il loro mondo, non hanno regole e risposte utili. Alimentano la rabbia e la confusione dei figli.

      "Non credo che abbia capito di aver perso"

       "Però è così"

 

      La rabbia del bambino trova sfogo nella reazione violenta alle prepotenze. Lo sfogo più giusto e naturale. È il linguaggio del mondo che ha attorno. Un modo per avanzare in quegli spazi invece che indietreggiare e arrendersi. Il male che genera bene.

      E il male genera bene anche quando "l'incidente" di un figlio riavvicina i genitori e permette a un adulto di parlare a un bambino che vuol morire con parole crude ma finalmente vere: la morte è parte del mondo, è sempre davanti a noi nascosta se va bene da un semplice velo.

 

      Tutto e tutti in questo film sono intrisi di giusto e sbagliato, di bene e male, di umanità manchevole e imperfetta. Tutto è visto con occhio impietosamente onesto, disincantato ma estremamente partecipe. Un encomiabile medico che ha però tradito la moglie, la stessa moglie che sconvolta maltratta un bambino incolpandolo della morte del figlio. Un padre che prova a parlare al figlio ma non sa e non può spiegargli la morte della madre e non può sottrarlo alla rabbia.

      "Mia madre sembrava più piccola quando è morta"

      Sono tutti uomini a misura d'uomo, contro scenari che sconfessano l'illusione di avere il controllo su quella insondabile e caotica vastità che è la natura (umana e non). Scenari che fanno da provocatoria cassa armonica a dolori, rabbia e solitudine, e che possono essere tanto bellezza indicibile quanto muta e indifferente distanza tra esseri umani. A seconda del velo/lente che hai davanti agli occhi.

      Il finale non poteva che essere così. Coerentemente e senza enfasi gli esseri umani continuano a cercare di ordinare il caos e issare il velo un passo alla volta, come hanno sempre fatto. E le ultime immagini sono per la visione d'insieme, per l'Africa che più di ogni altro luogo rivela l'impasto contraddittorio e la bellezza sporca del mondo.

    

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