Regia di Susanne Bier vedi scheda film
Al di là della vita. Ancora elaborazione del lutto (Noi due sconosciuti), ritorni a casa (Dopo il matrimonio) e un cinema di open hearts. Con effetti post Festen sempre accesi nel mostrare l’inferno familiare, anche se Susanne Bier ha rotto e frantumato da tempo barriere geografiche (il campo profughi in Africa). In un mondo migliore è un film nel nome del padre, di adolescenze difficili, di ruoli e identità sul punto di smarrirsi. Lo sguardo della cineasta è ancora più grandiosamente impetuoso che in passato ma ci si mette un po’ a entrarci dentro, a causa di alcuni passaggi macchinosi e residui kammerspiel con dialoghi che esplicitano ombre di Dreyer e Bergman («Tu la volevi morta» dice il figlio al padre). Si libera però definitivamente da ogni traccia Dogma e con la macchina a mano cattura respiri, innesca tensioni che si attaccano sulla pelle come nella scena in officina o negli istanti precedenti all’esplosione di un furgone. Dentro ogni inquadratura c’è un concentrato potentissimo di violenza e rabbia, segni di un melodramma fisico che ti prende a cazzotti senza avvertirti. Ma che all’improvviso cambia luce, nel segno di una riconciliazione che ha le forme del miracolo.
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