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In un mondo migliore

Regia di Susanne Bier vedi scheda film

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La recensione su In un mondo migliore

di ROTOTOM
8 stelle

C’è del marcio in Danimarca direbbe il Bardo. Il Valhalla della società civile mostra le crepe di fronte alla spietata telecamera della Bier che agli dei non crede affatto,  affilando piuttosto lo sguardo sulle bassezze umane.  Giochi di bambini, in teoria sereni organismi monocellullari che dovranno costituire la perfetta nazione corpo, un tutt’uno coeso con diritti e doveri ma che imprigionati in un senso di responsabilità sovrano e mitizzato si ribellano scardinando le certezze costituite.

Esistono due piani diversi di esistenza, quello degli adolescenti e quello degli adulti. Il gioco dei bambini è pericoloso, violento e ammaliante. Esige con rabbia quella necessità di lotta per la sopravvivenza che il conviver civile degli adulti ha edulcorato in una pavida supremazia intellettuale.  L’esigenza del corpo allo scontro fisico, adrenalinico e ferino viene messo di fronte alla pacifica osservanza di diritti e doveri e al glaciale rifiuto della violenza. Lo strappo tra le due generazioni è forte, frutto di frustrazione e desideri repressi, una sotterranea disperazione che inquina la perfezione dello stato sociale. la Bier non condanna le istituzioni, non c’è una ragione politica o sociale per il buio della mente che sovrasta Christian , non c’è una ragione plausibile per cui l’amico, il timido Elias ne è ammaliato fino a rischiare la vita.

Ogni inquadratura è però pregna di dolore, il piano degli adulti non comunica con quello degli adolescenti o meglio la comunicazione avviene su due piani differenti e incomprensibili.  Le colpe dei padri si ripercuoteranno sui figli, anche se un profondo senso di incontrollabile casualità si aggira come un dio dispettoso sui protagonisti. Un sottile strato di disperazione permea tutti i personaggi, qualcosa di untuoso e scivoloso che sospinge gli eventi verso il disastro.

La violenza è insita nella natura dell’essere umano, la repressione dell’istinto bestiale passa attraverso la conoscenza e la civiltà. Ma a volte non basta. Splendido il raffronto della Bier sulla condizione del medico di Emergency, padre di Elias, che in Africa si ribella alla cieca mattanza del Boss di turno, messo di fronte alla violenza che nella sua pacifica Danimarca anima gli istinti di personaggi grezzi e rissosi. In Africa la società usa la violenza per vendicarsi del Boss che squarta le bambine per divertimento, in Danimarca essa cova come braci nella mente dei ragazzini in bilico tra il bene e il male.  

Golden globe e Oscar al film straniero meritatissimi, In un mondo migliore è diretto e recitato molto bene, straordinari i bambini, intensi gli adulti ritratti dalla glaciale regia della Bier nei loro scampoli di solitudine.  Personaggi inchiodati al contesto e imprigionati nelle loro certezze, fotografia virata sui toni bluastri quasi a sottintendere il gelo che permea le relazioni. In un mondo migliore non è tuttavia un film nichilista fine a se stesso, forse la forza del film sta proprio, come mostrato dal personaggio del padre di Elias che non si piega di fronte alla violenza immotivata, nella debolezza di un finale forzatamente positivo. Il lieto fine che chiude un melò a tinte thriller al quale non siamo più abituati, ogni aspetto viene risolto e tutto torna quieto, meglio di prima. Il mondo è migliore.

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