Regia di Susanne Bier vedi scheda film
Come si può considerare l'esistenza umana a prescindere dal Male? La violenza e la cattiveria entrano nella nostra vita quotidianamente, ne sono parte integrante e (chi di voi si ricorda del Regno di Lars von Trier?) dobbiamo essere pronti ad accettare sia il Bene che il Male: ecco da dove parte questa straordinaria parabola scritta da Anders Thomas Jensen (Mifune, Wilbur wants to kill himself, Le mele di Adamo, quest'ultimo anche come regista). Due bambini sono al centro della storia, con relative famiglie a pezzi: un padre fresco vedovo, quello di Christian, ragazzino turbato nel profondo e in superficie gelido, che non riesce a farsi una ragione della morte della madre e incolpa il padre di esserci, pur faticosamente, riuscito; un padre ed una madre che stentano a rivolgersi parola, quelli di Elias, timido e incapace di reagire. Sono ancora una volta le colpe dei genitori a ricadere sui figli: la freddezza (solo apparente) con cui il padre di Christian ha elaborato il lutto si trasforma nel figlio in un odio glaciale verso chiunque abbia attorno, con spiccato istinto di vendetta (Haevnen in danese, cioè il titolo originale); l'incomunicabilità e la distanza fra i genitori di Elias divengono nel ragazzino passività e sottomissione. L'accoppiata fra i due compagni di scuola è perfetta, poichè Christian ha solo bisogno di un socio che appoggi - anche soltanto moralmente - il suo irrefrenabile bisogno di vendicarsi con il mondo per la sua nuova condizione di orfano; mentre Elias trova nell'amico una guida e un esempio materiale molto più soddisfacente di quello paterno. Quando il padre di Elias infatti viene schiaffeggiato in pubblico da un manesco energumeno, l'uomo reagisce perdonando l'aggressore in quanto bruto incapace di capire la gravità delle sue azioni; oltre all'evidente richiamo cristiano al porgere l'altra guancia, è l'ossessiva ricorrenza della parola 'idiota', in questa sequenza, a far sobbalzare: Jensen sta sovvertendo completamente la prospettiva di Dostoevskij, indicando come odierno 'idiota' (l'individuo che non riesce ad adeguarsi ai canoni del comportamento sociale) il personaggio violento. Oggi, insomma, chi non capisce o non riesce a integrarsi, semplicemente, alza le mani: la vendetta ha soppiantato il perdono, un Cristo moderno risponderebbe alle infamie con la forza fisica. E' questo un mondo migliore? Assolutamente no, dal punto di vista strettamente morale, ma per una volta la traduzione italiana del titolo, pur cambiandolo completamente da quello che era l'originale, non va a vuoto, e l'ironia amara del 'mondo migliore' traspare allo stesso modo nella scena in cui il dottore missionario, uomo di saldi principi deontologici e ligio innanzitutto al dovere, rinuncia a curare il tirannetto locale e lo fa fare a pezzi dalla folla assetata di (guarda caso) vendetta. Il discorso si snoda parallelamente nella chiusura del film: non inganni la ricomposizione degli affetti e la cessazione degli imminenti pericoli su cui la storia cala il sipario, perchè questo è un lieto fine intriso di morte e dolore, nel quale neppure i bambini sono al riparo dalla sofferenza e dal Male che quotidianamente ci tenta. L'Oscar come miglior film straniero? Ineccepibile. Lucidissima fotografia di Morten Soborg, montaggio vivace di Pernille Bech Christensen e Morten Egholm; produce la Zentropa di von Trier e Peter Jensen. 8/10.
L'amicizia fra due ragazzini, nuovi compagni di scuola, prende una brutta piega: Elias è timido e facilmente condizionabile, mentre Christian - che ha perso da poco la madre - è violento, trascinante e soprattutto molto vendicativo.
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