Regia di John Wells vedi scheda film
The company men è un bel film perché parla - oggi - a tutti. Ai sessantenni tagliati fuori dal mercato del lavoro non per reali difficoltà lavorative, ma per salvaguardare l’ “etichetta”. Ai più giovani, rampanti e scafati, che non guardano in faccia nessuno salvo poi rendersi conto che la loro arroganza viene tranquillamente ricambiata. Agli uomini tutti d’un pezzo, che lottano, in silenzio, tutti i giorni solo per poter “stare in pari”, senza doverci rimettere. A quelli dalla pellaccia coriacea perché forgiata anni prima, quando il proprio “cantiere” era una fabbrica di mattoni, non un grattacielo di cristallo. Ma (forse) soprattutto alle nuove generazioni, che non hanno ancora visto bene in faccia la crisi, che non hanno ancora avuto davvero “fame” per essere sinceramente spaventate, ma che, però, se ben educate, si può ancora sperare che crescano in aderenza ai valori di una volta. A quei valori che sanno trasformare una tetra prospettiva - il licenziamento - da una minaccia (si pensi alla battuta finale di Bobby Walzer/B.Affleck) nel sinonimo di un nuovo inizio. Allora non tutto è perduto. Rimane un fondo di speranza nel bicchiere della vita.
La nota retorica buonista a tutti i costi non si fa mancare neanche stavolta, ma, in questi tempi di crisi vera, anche l’illusione apparentemente più crudele può aiutare a smuovere qualcosa.
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