Regia di Troy Nixey vedi scheda film
19esimo secolo. Nella sua villa, un pittore folle spacca a martellate i denti della governante per donarli a esseri misteriosi, che albergano nelle profondità della cantina. Il prologo, violento e suggestivo, cattura l’attenzione aprendo le duplici porte dell’horror e del fantasy. A frantumare le aspettative ci pensa la narrazione, che nulla aggiunge ai tópoi dell’isolamento e dell’uomo nero. Il debuttante Nixey offre una regia monocorde e insicura nel trovare un punto macchina stabile: la camera è in lento movimento dal principio alla fine, devitalizzando l’escalation emotiva del racconto, che prevede la lenta (estenuante) esplorazione della casa da parte di una bambina – guarda caso attratta dalla cantina – fino al climax conclusivo, giocato sull’accumulo di adrenalina anziché su rivelazioni utili alla storia. Anche la possibile ambiguità sulla natura dei mostriciattoli, ipotizzabili come creazioni della mente traumatizzata della piccola Sally, viene risolta oggettivando le creature addirittura nel prologo. Nell’uso del bosco come rifugio favolistico, nella centralità della bimba e nel suo confronto con le orribili (nelle intenzioni) e ridicole (nella realizzazione) creature, i modelli di riferimento – oltre al Tv movie omonimo del 1973 – sono dichiaratamente La spina del diavolo e Il labirinto del fauno di Guillermo Del Toro, qui peraltro cosceneggiatore e coproduttore. Il risultato, però, è una fotocopia che induce a seguire il suggerimento del titolo piuttosto facilmente.
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