Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Il cinema di serie A, Hollywood style, può annoiare anche chi ci sguazza consapevolmente dentro da anni, ottenendo buone fortune: lo dimostra Danny Boyle mettendo in scena una storia claustrofobica all'eccesso come quella (vera) di Aaron Ralston, intrappolato da solo in un minuscolo pertugio fra le rocce per cinque giorni: un'esplicita sfida al sistema produttivo del Cinema a tanti zeri, quello per il quale occorrono star, azione, battute a effetto. Qui c'è solo un attore per la quasi totalità del film (James Franco, sopra le righe come pochi altri), l'azione è poca, i silenzi lunghi, lo spazio è minimo e soltanto una nutrita - e quindi esagerata, fastidiosa - serie di flashback e di proiezioni del protagonista riempie il vuoto narrativo dei cento minuti della pellicola. Se la storia di Ralston è esemplare (di come l'uomo possa sfidare la natura apparentemente pacifica e perdere clamorosamente, di quanto sia disposta a rinunciare una persona per poter sopravvivere), però certamente la sua parabola non si adatta al cinema, soprattutto a quello dei blockbuster dei nostri giorni: effetti speciali e digitali assortiti non possono fare nulla per ravvivare una trama praticamente inesistente, al massimo creano altre microstorie all'interno di quella principale, destabilizzando l'attenzione dello spettatore (anzichè ridestarla). Ci aveva già provato Hitchcock con I prigionieri dell'oceano: una barchetta come unico spazio dell'azione, ma almeno lì c'erano intrighi, c'erano personaggi, c'erano situazioni e rapporti psicologici: c'era una storia. Qui, semplicemente, no. C'è un cortometraggio dilatato all'eccesso. E se il Maestro britannico aveva realizzato un buon lavoro, ma con qualche perplessità di fondo, Bunuel aveva perfezionato il meccanismo con quel capolavoro che è L'angelo sterminatore; al confronto con titoli di questa risma (e, perchè no?, perfino con Nel più alto dei cieli di Silvano Agosti, vedere per credere), 127 ore sfigura impietosamente e si svela per ciò che è: una baracconata costruita sul nulla. Piuttosto si può accostare all'inguardabile Codice privato di Maselli, con la Muti sola in scena per tutto il film, chiusa in un appartamento: eppure perfino lì c'era più libertà di movimento, più occasione di respiro e di continuità nella narrazione, tutte cose che la pur straripante fantasia e gli effetti speciali di questo 127 ore non riescono a garantire. Unica nota positiva in questo senso può essere l'utilizzo dello split screen come rappresentazione dell'accavallarsi dei pensieri del protagonista; inutile sprecare tempo e parole sulla patetica didascalia finale, una specie di insulto al dolore reale, vero, materiale di Ralston. Qui è tutta finzione. Bella la colonna sonora di A. R. Rahman, già con Boyle per The millionaire; anche per la sceneggiatura il regista si affida a un collaboratore del film precedente, cioè Simon Beaufoy (da un soggetto di Aaron Ralston). 3/10.
Un ragazzo, scalatore dilettante, rimane intrappolato con un braccio sotto una roccia di un canyon. Dopo 5 giorni riesce a recidere l'arto per potersene andare.
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