Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Bhè, insomma, non era certo facile fare un film così, che descrivesse cinque giorni di immobilità assoluta. La vera storia di Aron Ralston è di per sé un pessimo soggetto per il cinema, e ci voleva la buona volontà di un pazzoide come Boyle per farlo, e per farlo più che dignitosamente. Pagando l’inevitabile pegno ad un po’ di noia, Boyle ha capacità sufficienti per far muovere l’attenzione dello spettatore, immobilizzato nell’assurda, tragica situazione di Aron, ricorrendo alla sue solite tecniche furbette (leggasi geniali) e raggiungendo anche picchi di notevole “suspense” in almeno due occasioni: la scena del temporale (devastante il boato dei tuoni, l’accumularsi delle nuvole) e quella topica dell’auto-amputazione (anche uno con i peli sullo stomaco come il sottoscritto, ha dovuto chiudere gli occhi per uno o due istanti…). Non è un film destinato a rimanere nella storia, credo, viziato com’è di fondo dall’essere una storia “banale”, se mi si passa l’ossimoro, e dall’essere sostanzialmente una prova autoriale fine a se stessa, una scommessa che Boyle ha giocato con se stesso, senza vincere né perdere, dopo i fasti dell’oscar (furbetto pure lui….) di “The Milionaire”.
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