Regia di Barry Levinson vedi scheda film
Antefatto: Roy Hobbs è un talento naturale (come da titolo originale) che sembra avviato a una fulgida carriera nel baseball, ma nello stesso giorno in cui deve sostenere il suo primo provino per una squadra professionistica viene gravemente ferito da una psicopatica ossessionata dai campioni sportivi. Sedici anni dopo, quando ormai è quasi in disarmo, ritenta la scalata. Uno di quei film che piacciono tanto a Redford, con un eroe americano dalla faccia pulita che lotta non contro i nemici della patria ma contro quelli interni (fra i quali spicca il mellifluo giornalista Robert Duvall, sempre intento a fabbricare e distruggere personaggi). Mitico, favolistico (c’è addirittura un oggetto magico, la mazza forgiata dal legno di un albero colpito dal fulmine), dalla confezione magniloquente e un po’ pomposa (ralenti nei momenti clou, uso antinaturalistico delle luci: vedere l’inquadratura di Glenn Close in piedi in mezzo al pubblico). Ma è soprattutto la storia, anch’essa tipicamente americana, di una seconda possibilità, realizzata anni dopo una falsa partenza conclusa in tragedia: il nostro cade, si rialza e alla fine ritrova pure la donna amata che credeva perduta. Redford doveva essere così entusiasta del progetto da non rendersi conto che poteva ancora essere credibile come trentacinquenne, ma non certo come ventenne.
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