Regia di Steve Antin vedi scheda film
Apprezzabile la disinvoltura con cui questo film ambisce a diventare un cult musicale. Certo il film non manca di energia, tra slanci di gambe e provocanti trasparenze, il tutto verniciato nelle colorate luci del night. Ispirato ad un classico del calibro di Cabaret di Bob Fosse, quest’opera sa, però, come vivere nel proprio tempo, sfoderando tutta la potenza vocale delle icone Cher ed Aguilera - forte della spettacolare inossidabilità della prima e dell’eterno fascino da ragazza di provincia della seconda – e combinando sapientemente i collaudati stili del videoclip e del serial tv adolescenziale. La malia di questo film non nasce, per intenderci, dall’antica pozione miscelata nel pentolone della strega, bensì dall’estemporaneo cocktail uscito dallo shaker, che è buono solo fino a che è fresco, e nel bicchiere invecchia presto, perdendo quasi subito la sua anima frizzante. Eppure l’impatto sul gusto è così sorprendente e deciso, che il palato si lascia prontamente sedurre e trascinare in questo gradevole gioco a base di tanti piccoli pezzi facili. Naturalmente, la versione di Steven Antin non regge nemmeno lontanamente il confronto con l’intramontabile capolavoro interpretato da Liza Minnelli, perché le sonorità sono troppo disco, le coreografie troppo televisive, i costumi e i trucchi troppo prêt-à-porter; lo stesso locale ha molto del club e quasi nulla del teatro, ed i suoi show assomigliano più a sfilate di mannequin che a performance di artiste. Il titolo non tragga in inganno: sono distanti mille miglia sia il (preteso) erotismo di Striptease, sia gli ammiccamenti in cipria e rossetto portati alla ribalta da Dita von Teese. Il ritmo non avvince, emotivamente, perché non segue il sinuoso andamento degli impulsi del cuore, ed è discontinuamente distribuito secondo le convenzionali categorie rock/lento, in parentesi canore appiccicate alla storia senza nessuna particolare coerenza con la trama. Le melodie, lungi dall’essere empiti armonici sgorgati dall’anima, appaiono, invece, all’improvviso, come la presentazione del prodotto-canzone all’interno dello spot-film, con cinema e discografia che si scambiano il favore di farsi pubblicità a vicenda. In questo modo la pellicola non smette di essere, dall’inizio alla fine, il trailer di se stessa: un ruolo che la costringe a stare perennemente sopra le righe, tenuta indefinitamente in ostaggio da un’inesauribile voglia di far vedere e far sentire, tipica di uno spettacolo concepito come servizio al cliente/spettatore. Il punto è, però, che scartando il cellophane, per un attimo si ha davvero la sensazione del profumo e del sapore, che si imprime nel ricordo, e che basta per uscire dalla sala con la certezza di essere stati trattati bene.
Due nomination al Golden Globe 2011 per la miglior canzone originale: You Haven’t Seen the Last of Me (di Diane Warren per Cher, vincitrice) e Bound to You (di Samuel Dickson e Sia Furler per Christina Aguilera).
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