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Burlesque

Regia di Steve Antin vedi scheda film

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La recensione su Burlesque

di Spaggy
8 stelle

Dannatamente finocchio, senza voler offendere nessuno. Ecco il primo salomonico giudizio che si può affibbiare a questo film dell’esordiente Steve Antin, che dopo non essere riuscito a sfondare nella recitazione ha deciso di dedicarsi alla regia, passando ai lungometraggi dopo aver diretto dei videoclip musicali.


Ed ecco perché finocchio.


In primo luogo lei, l’icona per eccellenza di un mondo effimero e appariscente, la regina della chirurgia estetica, colei che si ritrova una voce da uomo intrappolata in un corpo talmente finto da non utilizzare nemmeno i suoi capelli in scena. La vedi alta, statuaria, eternamente giovane, con un body nero che le strizza il corpo e che farebbe invidia alle trans di mezzo mondo: Cher, colei che prima di Madonna o Lady Gaga aveva intuito la potenza delle esibizioni trasformiste unite alla voce elettrica dei sintetizzatori. Cher, colei che ad ogni prova di recitazione divora le altre attrici presenti in scena, colei che non lascerebbe spazio alle nuove generazioni neanche se le crollassero gli zigomi di porcellana.


In secondo luogo, l’esordiente sul grande schermo. Colei che allevata alla fattoria Disney insieme ad altri galli e galline di combattimento (leggasi Justin Timberlake e Britney Spears, Zack Efron o Lindsay Lohan) ha conquistato le classifiche musicali di mezzo mondo. Colei che in una sola notte è riuscita a distruggere un’intera carriera sbagliando le parole dell’inno americano di fronte a più di 100 milioni di persone. Colei che alta mezzo metro sprigiona una voce da nera dalla tana delle sue corde vocali (è risaputo, lo stabiliva anche un vecchio detto: “donna nana tutta tana”). Colei che Madonna ha slinguazzato durante un’esibizione musicale.


In terzo luogo, la star del telefilm culto. Colei che adolescente e con caschetto biondo indagava sui misteri della provincia americana con l’ausilio del padre. Colei che fece impazzire gli americani (un po’ meno gli italiani) con il suo sorriso da ebete tanto che si vocifera che prima o poi se ne farà un film. Veronica Mars, alias Kristen Bell, qui in un’inedita versione scosciata e bruna pronta a far di tutto pur di non farsi definire “brava ragazza”.


In quarto luogo, Stanley Tucci. Colui che dopo aver passato gli abiti di Prada al Diavolo si ripresenta nelle vesti di un’altra macchietta dannatamente e sfacciatamente frocia. Ancora una volta sartina, alle prese con un mostro sacro (a Meryl Streep si sostituisce Cher), e con una spiccata propensione alla battuta.

In quinto luogo, i maschiacci. Colpi scultorei e visi angelici. Eric Dane nel ruolo dell’immobiliarista miliardario senza cuore che si passa le vedette del bar teatro in cui si svolge la storia; Cam Gigandet (il cui nome è già un programma) nel ruolo del bel cameriere di turno, che mostra pettorali, addominali, bicipiti e glutei per conquistare la Aguilera, nonostante sia più truccato di Boy George; Peter Gallagher, che sarà pure vecchiotto ma che una dose di fascino la conserva ancora sotto quella sua chioma sempre spettinata, nel ruolo dell’ex marito e socio in affari di Tess.


In sesto luogo, il travestitismo. Che sia l’epoca del burlesque, non c’è dubbio. Sono i corsi e ricorsi storici. Si impazziva per il Moulin Rouge e si impazzisce per il burlesque. E poco importa se nel film dell’arte del balletto non vi è traccia, bastano i costumi da battone di altri tempi a far la differenza. Piume, merletti, strass, paillettes, guepiere, stivali in pelle nere, costumini adamitici e abiti da gran sera, scarpe che neanche Carrie & Co. avrebbero messo ai loro piedi!


In settimo luogo, le coreografie. Numeri danzanti usciti dalla mente contorta di un Garrison qualsiasi, che forse neanche gli Amici di Maria avrebbero eseguito. Così kitsch da rasentare il ridicolo.


In ottavo luogo, le canzoni. Tra i pezzi inediti, solo due per Cher ed è un vero peccato mentre il resto è tutto per Christina Aguilera. Ai testi è chiamata Diane Warren. L’obiettivo erano gli Oscar, si sono dovuti accontentare di un Golden Globe. Tra i pezzi noti, spicca tra tutti “Diamonds are the girl’s best friends” (per il ciclo “non si butta via niente”).


Infine, ma solo infine, rimane la storia. Poco da dire: un misto tra “Le ragazze del coyote Ugly” e “Moulin Rouge!”, senza dimenticare la rivalità tra ballerine del “Cigno nero”, la strizzatina d’occhio a “Cabaret” e “Saranno famosi”, un goccio del “Diavolo veste Prada” e dosi di messaggi melensi sui rapporti “ragazza orfana che sfonda con l’aiuto della titolare del bar che le fa quasi da seconda madre”. Il tutto diretto da una regia alla “Paso Adelante” e dialoghi al limite della denuncia, con una protagonista che già dal nome (Ali) ci ricorda “Alice nel paese delle meraviglie” e con un guizzo di sceneggiatura finale che si basa sull’assunto dei “diritti di elevazione” (si sa, SPQA: Sono Pazzi Questi Americani).


Eppure… nel paese delle meraviglie ci finisce lo spettatore: due ore scorrono veloci, non si avverte un attimo di noia e gli occhi e le orecchie godono proprio per una messa in scena da MTv Adwards. Pastiche di ultima generazione o film pasticciato poco importa, si esce dalla sala con un sorriso da ebete stampato in faccia e con la voglia di risentire il cd con la colonna sonora. E lunga vita a Cher!

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