Regia di Kevin Munroe vedi scheda film
Chiariamolo subito: i legami con il noto fumetto di Sclavi sono quasi inesistenti. C’è il look di Dylan e qualche inside joke con i nomi di Sclavi e Bonelli (qui Borelli), oltre a una fotografia dove qualcuno è truccato da Groucho. Ci sono anche i nomi delle vie del fumetto, la celebre battuta «Il mio quinto senso e mezzo» e l’esclamazione «Giuda ballerino!». La ragion d’essere per il pubblico americano sarebbe nella poetica sclaviana «i mostri siamo noi», ma tanto banalizzata da risultare irritante e cretina. Dylan è qui un ex giudice e detective negli affari tra zombie, vampiri e licantropi. Ha mollato l’incarico dopo che la sua donna ci ha rimesso la vita e, come in ogni film con detective privato e voce over, a rigettarlo nella mischia è una bionda in pericolo. C’è poi l’assistente divenuto un morto vivente, ma in difficoltà nella sua nuova condizione con una serie di situazioni che si vorrebbero comiche. Purtroppo lo humour funziona pochino e il resto della sceneggiatura, nonostante sia prevedibilmente ricca di cliché, si rivela lacunosa e poco sensata, soprattutto nell’assurdo scontro finale dove, anziché Dylan Dog, vengono in mente le peggiori puntate di Supernatural con un pizzico di True Blood. Il risultato è vacuo e derivativo, con mostri incolore e morti esangui, adatto per i nostri censori a tutte le età ma indigesto per chiunque.
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