Regia di Kevin Munroe vedi scheda film
Operazione ardita e fallimentare, oltremodo deludente qualora si volesse fare un (impossibile) raffronto col fumetto cult a cui si riferisce in maniera esplicita, ma debole anche solo facendo finta di niente su questo chiaro legame, come se il personaggio principale si chiamasse in un altro modo.
D’altronde le premesse non erano affatto buone fin dal nome del regista scelto, che in precedenza aveva distrutto le tartarughe ninja con una pellicola d’animazione scialba e fuori tempo massimo.
Dylan Dog (Brandon Routh) è un investigatore privato che non vuol più sentir parlare di non morti, guadagnandosi da vivere con casi molto più semplici e assai meno pericolosi.
Ma un assassinio avvenuto ad opera di un licantropo lo riporta a stretto contatto con quel mondo nascosto, ma sempre in mezzo a noi, con un mistero da scoprire che mossa dopo mossa si allarga sempre più fino ad arrivare al rischio del ritorno in vita di una creatura in grado di dominare l’intera umanità.
Pellicola fiacca ed infarcita, come poche altre, di scelte che non funzionano e che man mano che si sommano aumentano i disastri prodotti in maniera esponenziale.
Lasciando da parte tutti gli aspetti che avrei voluto vedere ripresi dallo storico fumetto nostrano (qui ci sono giusto una manciata di modi di dire), il primo problema è una sceneggiatura lacunosa che crea un’enorme confusione ampliando inutilmente il raggio d’azione senza la dovuta precisione (e con passaggi che spesso sono oltremodo frammentari).
Troviamo poi licantropi e vampiri decisamente monocordi pronti a fronteggiarsi (chissà se il successo di “Twilight” abbia influenzato questa scelta), mentre solo la simpatia degli zombie offre qualcosa in più (qualche risatina non manca anche se si comunque fatica visto tutto il resto).
Male anche la parte degli effetti speciali (vedasi soprattutto la parte finale che pare far parte di un filmino di serie Z), mentre non ci voleva un genio per capire che il volto da bambaccione di Brandon Routh non poteva per niente essere all’altezza delle aspettative, semmai stupisce che l’istrionico Peter Stormare sia stato sprecato in tal modo (presenza praticamente inutile).
Ed il finale è il colpo di grazia decisivo, un mostro invincibile sulla carta che dura giusto una manciata di minuti (lasciando perdere tutti i deboli legami che ci sono intorno), ma soprattutto una pochezza scenica e rappresentativa che toglie ogni residuo dubbio.
Rimane quindi un’operazione sbagliata sotto quasi tutti i punti di vista possibili (a partire dall’approccio di base), si spreca anche una locations suggestiva come quella di New Orleans (della serie, visto che ci siamo, roviniamo tutto il possibile), ma soprattutto quasi tutte le idee sembrano incollate tra di loro in modo maldestro senza un’asse portante degno di tal nome.
Pasticcione all’inverosimile.
Pensate a tutti i difetti che un regista può avere ... bene, lui qui ce li ha praticamente tutti.
Disastroso.
Non ha nemmeno un filo del carisma che sarebbe occorso (rimpianti incredibili per il Rupert Everett di "Dellamorte dellamore").
Poi certo la colpa del disastro sta più altrove, ma lui è a dir poco deficitario e non è la prima volta che questo capita ("Superman returns" docet).
A dir poco sprecato, il suo volto starebbe anche nel posto giusto.
Peccato ...
Non ha troppa pressione sulle spalle ed in fondo sfigura meno di altri, anzi è anche abbastanza simpatico.
Sufficiente.
Carina, ma il posto non è quello migliore per farsi ricordare.
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