Regia di Kevin Munroe vedi scheda film
“Che senso ha fare un film su Dylan dog se non se ne rispettano i canoni più peculiari???”. È questo l’interrogativo che con buona probabilità attanaglia gli spettatori per tutta la visione del film di Kevin Munroe. New Orleans al posto di Londra, Marcus al posto di Groucho, il maggiolino addirittura a colori invertiti... Tutte magagne ben evidenti, al di là di tutte quelle invece notabili solo dai più esperti, che distaccano con nettezza dall’originale fumettistico. E tutto perché gli autori non hanno acquistato i diritti e conseguentemente la vicenda ha dovuto cambiare radicalmente, di fatto snaturandosi. Qualcuno che non avesse modo di conoscerne il titolo difficilmente infatti sarebbe in grado di associare il film al personaggio uscito dalla matita di Tiziano Sclavi (gli unici elementi che li accomunano in fondo sono il vestiario del protagonista e la sua esclamazione “Giuda ballerino!”). E’ dunque chiaro come gli espliciti riferimenti all’originale, ossia alcuni frame in cui si richiama Groucho Marx o il nome del vampiro Sclavi, siano degli omaggi al fumetto o poco più. Perché questo film, checché ne dicano i titoli di coda, non è basato sul fumetto omonimo, ma da esso ne trae solo sparuti spunti).
Interessanti tuttavia la voce fuori campo, che richiama gli intermezzi tra i fumetti dell’originale comic e la storia, non proprio malaccio: Dylan Dog (Brandon Routh), tornato giocoforza a fare l’investigatore dell’incubo dopo aver provato a cambiar vita, investiga sul caso di un omicidio di un trafficante di oggetti rari, ucciso dai licantropi, oppure dai vampiri, o dagli zombie. Starà a Dylan, con l’aiuto del socio Marcus e della figlia della vittima Elizabeth, a dover risolvere il caso… Men che mediocre è invece la sceneggiatura, come detto fallata già dalla base, portata stancamente avanti senza alcun entusiasmo. Film insulso, scontato, per certi versi offensivo: un’americanata capace di dissacrare con consapevole blasfemia lo charme dell’elegante fumetto italiano.
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