Regia di Luca Lucini vedi scheda film
Mater semper certa, pater numquam. Così dicevamo i nostri padri, che la sapevano lunga già da allora. Solo che omettevano il fatto di dire che, più che certa, la madre è assoluta, indiscutibile, inappuntabile. Sotto la patina di piccola commedia borghese famigliare, diretta dalla mano sempre più convincente di uno dei pochissimi giovani artigiani del nostro nuovo cinema (Luca Lucini, della factory di Cattleya), sotto la girandola di tradimenti, inganni e menzogne articolate lungo il corso di una storia che di certo non può considerarsi priva di colpi di scena, c’è un tema cattivissimo: che ruolo hanno le madri nella nostra vita?
La donna della mia vita è un film che nasce in sede di locandina come un triangolo amoroso in cui due uomini (fratellastri) si contendono colei che ritengono essere la giusta lei. Si presenta, dunque, come un intreccio sentimentale brillante, forse anche banale, ma relegato ad una corrispondenza d’amorosi sensi tra uomo e donna, diciamo. E invece no. Ti accorgi lentamente che in fondo non è così innocuo il film. E che la vera donna della vita di questi due fratelli altri non è che loro madre. Una donna fatua, apparentemente, che ha etichettato il figlio maggiore come il forte-stronzo-superficiale-in-carriera, e quello piccolo come il tenero-sensibile-delicato-da-proteggere. Ogni madre, checché ne dica, ha le sue preferenze. Poi a poco a poco i ruoli si ribaltano, le carte si mischiano, come in un gioco d’azzardo. Spontaneamente?
No, perché c’è sempre la madre che governa, gestisce, fagocita tutto affinché il proprio bene sia il bene comune, anche quando tutto sembra andare storto ed ogni cosa è in disordine, pure nel momento in cui sembra crollarci addosso il mondo che ci siamo creati. Eppure tutto è pilotato, dallo sguardo dolce e comprensivo, dalla voce suadente (ha fatto l’annunciatrice) e dalle forme generose: la vera donna del film non è la violoncellista che si contendono i due fratelli, ma è proprio lei. Ritratto adorato e crudele, dolce ed inquietante della figura più intoccabile per il maschio italico, La donna della mia vita è un film tutt’altro che scontato, non sprovvisto di una sua morale per niente rassicurante, finanche sorprendente infine.
Non è soltanto il cinema medio di cui avremmo bisogno in mezzo a pretese d’autoralità e robe simili, ma anche un film che orchestra al meglio i suoi elementi. Se il trio dei protagonisti è intonatissimo, Giorgio Colangeli convince pure come cummenda milanese in crisi, Lella Costa ha quelle tre scene che restano e Sonia Bergamasco è inusuale, è, manco a dirlo, la matronale e meravigliosa Stefaniona Nazionale a dare l’acqua della vita al film, in un ruolo che ricorda quello della madre de La prima cosa bella, ma ben più ambiguo e singolare.
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