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American Life

Regia di Sam Mendes vedi scheda film

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La recensione su American Life

di FilmTv Rivista
8 stelle

Casa è un albero di frutta finta. Radici che affondano nel suolo americano e producono mele di plastica. Così è l’America: dove regna la bellezza sintetica delle rose in boccio, vere o metaforiche, di American Beauty, i sobborghi ordinati e inamidati di Revolutionary Road. Burt e Verona lo sanno, non sono ingenui: il loro futuro bimbo, ancora raggomitolato in un pancione che pare pronto a esplodere prima del tempo, nascerà su quel suolo, sarà irradiato da quell’ipocrisia. Il loro viaggio, scandito in capitoli geografici, non è una fuga, ma una presa di coscienza. La ricerca di un antidoto, forse. Di sposarsi non se ne parla, non sono interessati, ma il nido da qualche parte va impiantato. Serve un luogo da chiamare casa, così si parte, attraversando gli Usa in auto, treno, aereo, in cerca di una meta definitiva. Da uno Stato all’altro s’imbattono irrimediabilmente in famiglie impazzite come maionese, fossilizzate nella lealtà al proprio stile di vita, che sia la tradizione o l’anticonformismo a tutti i costi. Ritratti iperrealisti di mariti&mogli statunitensi: più che American Life (traduzione italiana facilona per ammiccare al titolo della prima e più amata opera di Mendes), viene in mente American Gothic. Come i coniugi nel celebre dipinto di Grant Wood, le coppie si susseguono sullo schermo in quadretti congelati, sguardi vitrei di vite americane incapaci di vedere fuori da se stesse, mentre Burt e Verona, fuori dal quadro ma nondall’inquadratura, inorridiscono. Strampalati ma sinceri, sradicati ma inseparabili, fortunati seppur malassortiti (quanto i due ottimi protagonisti, John Krasinski e Maya Rudolph, talenti televisivi attorniati da una stuolo di splendidi comprimari), non hanno nessun posto dove stare se non insieme. «Che cosa faremo? Nessuno è innamorato quanto noi». Dave Eggers, scrittore di culto alla seconda prova per il grande schermo (dopo Nel paese delle creature selvagge), sceneggia a due cuori e quattro mani con la moglie Vendela Vida e fa un miracolo: il suo neoromanticismo è buffo e sbilenco, ma al tempo stesso incredibilmente adorabile e genuino. Proprio come un albero dai frutti di plastica.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 50 del 2010

Autore: Ilaria Feole

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