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Una vita tranquilla

Regia di Claudio Cupellini vedi scheda film

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La recensione su Una vita tranquilla

di Andreotti_Ciro
7 stelle

Il regista Claudio Cupellini per l’occasione fa calare Toni Servillo in uno degli innumerevoli ruoli nei quali da sempre riesce a “travestirsi”. Ognuno distante dai precedenti, ma tutti accomunati dalla solita maestria con la quale l’attore cresciuto a Caserta riesce a impersonare chiunque. Mettendosi questa volta alla prova nel ruolo di un emigrante come tanti. Un cuoco cinquantenne che da quindici anni risiede in Germania, dotato di un eccellente capacità linguistica ma anche con evidenti difficoltà a gestire sia i rapporti con la moglie Renate, impersonata dall’attrice Juliane Köhler, assieme alla quale gestisce un albergo ristorante. Ma anche le difficoltà che quotidianamente deve affrontare con le maestranze di origine Italiana, alle quali ha offerto lavoro: “per dar loro una mano e per ragioni di campanilismo” e che lo ripagano con continue insubordinazioni. Maestranze fra le quali evoluisce il caratterista Maurizio Donadoni.

 

La vita di quest’uomo dalla vita apparentemente tranquilla viene però scombussolata dal più classico degli imprevisti. Perché se inizialmente le due narrazioni paiono distanti l’una dall’altra: da un lato la vita di un albergo e dall’altra le vicende on the road di due “colleghi” in trasferta. Alla fine sarà proprio la decisione di Diego (Marco D’amore) di fare visita assieme a Eugenio (Francesco Di Leva) al ristorante di Rosario, a far virare la storia verso una conclusione non moralistica ma decisamente inattesa. Perché fra Rosario e Diego c’è ben di più di una semplice conoscenza o amicizia non coltivata da almeno quindici anni.

 

Piacevole puntualizzazione per le prove di D’amore e di Di Leva, nel ruolo dei due “colleghi” che paiono usciti da un episodio di Gomorra – La Serie (id.; 2014-2021) di Stefano Sollima. Entrambi operai del crimine ai quali la camorra si affida per non sporcarsi le mani: il primo capace di ponderare maggiormente le scelte e quindi decisamente meno istintivo. Il secondo maggiormente folle e capace di tutto. Entrambi, a distanza di oltre dieci anni dalla seconda opera di Cupellini, sono stati capaci di allontanarsi da cliché nei quali rischiavano di rimanere imprigionati. In particolare D’amore che ha saputo prendere le distanze dal personaggio di Ciro Di Marzio che lo ha reso celebre proprio nel serial diretto da Sollima.

 

Pellicola che a visione ultimata, e per alcuni risvolti, può ricordare Le conseguenze dell’amore (id.; 2004) di Paolo Sorrentino. Ci riferiamo ad esempio alla location estera. Al desiderio di svanire nel nulla del protagonista, sempre impersonato da Servillo. E agli evidenti risvolti e implicazioni criminali. Inoltre proprio come nel caso della pellicola di Sorrentino, non si hanno né una svolta morale, e nemmeno un finale consolatorio, ma la certezza anche in tal caso di essere di fronte a un diamante non grezzo ma al quale bastava veramente poco per brillare in sala e che quindi merita di essere recuperato.

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