Regia di Joel Schumacher vedi scheda film
L'ultima incursione era stata quella di "The performer". A circa un anno di distanza ci riprova Joel Shumacher, regista diventato famoso con il ritratto della gioventù anni 80 ("St Elmo's fire") e da sempre a suo agio con le vite bruciate anzitempo ("Tigerland"). Lo scenario è quello di una contemporaneità metropolitana che ha molto in comune con le atmosfere e la decadenza celebrata nei libri di autori come Brett Easton Ellis e Mc Ilnery: famiglie distrutte dall'indifferenza dei genitori e dalla malattia (il trauma del protagonista è la conseguenza della morte della madre ammalata di cancro), giovani storditi dagli addittivi e dalle regole di un consumismo alimentato da quel denaro che serve a comprare il simulacro di una felicità sostituita dalla sicurezza degli oggetti.
Sono queste le coordinate in cui si inserisce la storia di Mike White, spacciatore per caso e quella dei suoi ex compagni di scuola, rampolli della Upper East Side newyorkese, impegnati a riempire il vuoto di esistenze privilegiate ma fragili. Completamente avulso per ragioni che non tarderemo a scoprire dalla mondanità festaiola dei propri simili, Mike vi resta in qualche modo legato in quanto fornitore ufficiale dello "sballo". L'arrivo di una nuova sostanza (Twelve è il nome della droga assunta dai protagonisti) e l'uccisione del cugino di Mike, daranno il via ad un tragico conto alla rovescia.
Lontano dalle istanze sociologiche di film come "American Psycho" o per citare esempi più recenti "Le regole dell'attrazione", film che potevano contare sul sostegno della loro fonte letteraria, ed altrettanto distante da analisi sui meccanismi della dipendenza "Twelve" è in realtà un dramma sull'impossibiltà di essere felici e sulle conseguenze delle nostre azioni. Shumacher, per motivi anagrafici ed anche lavorativi (la sua attività si è concentrata soprattutto a cavallo degli 80/90) è dà sempre influenzato da estetiche edonistiche che privilegiano l'impatto visivo e la fluidità del racconto ed anche in questo caso il suo cinema macina senza soluzioni di continuità soluzioni cromatiche antinaturalistiche, utilizzate per restituire la percezione distorta dei protagonisti e dialoghi a basso contenuto fosforico, adatti a traghettare la storia alla scena successiva ma troppo leggeri per eventuali introspezioni. Twelve finisce quindi per assomigliare ai suoi attori, dotati di una bellezza talmente perfetta da rasentare l'inconsistenza.
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