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Flaiano: il meglio è passato

Regia di Giancarlo Rolandi, Steve Della Casa vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Flaiano: il meglio è passato

di yume
8 stelle

Fiumicino, cinquant’anni fa, marzo 1964, sul volo Roma/Los Angeles un folto gruppo di uomini, donne e varia umanità del cinema s’imbarca verso la notte degli Oscar.

Si tratta di Fellini & Co. e il film da premiare è Otto e mezzo.

Tutti in business class tranne lui, Ennio Flaiano, 54 anni, pescarese, scrittore, giornalista, sceneggiatore, collaboratore a tempo pieno di Fellini, spedito in classe turistica.

Una svista dell’organizzazione, certo, un’imperdonabile leggerezza dello staff di cinematografari in preda a delirio da Oscar (forse allora l’ Oscar era ancora un marchio di qualità se convinse la mitica pigrizia di Fellini a prendere il volo), una mancanza inspiegabile da parte del grande Federico, persona peraltro gentile e affabile, soprattutto quando si trattava di amici.

Ed Ennio era un caro amico.

 

Dai tempi di Luci del varietà in co-regia con Lattuada e, poi, dagli esordi ne Lo sceicco bianco, Fellini era vissuto in simbiosi artistica con lui, non c’era sceneggiatura su cui non avessero lavorato insieme, e Pinelli era il terzo del gruppo. Il talento dello scrittore si unì alla magia visiva del regista, e un bel pezzo di storia del cinema fu scritto.

Ma quel giorno qualcosa non funzionò.

Quando quel percorso comune stava per essere premiato, pur nel rispetto dei ruoli e delle priorità, qualcuno dimenticò Flaiano.

E Fellini, informato dello spiacevole disguido (Dov’è Ennio? E’ in turistica) non andò subito a prenderlo di peso per riportarlo in qua, nel posto accanto al suo, un po’ per pigrizia, chissà, e un po’ perché a volte si sbaglia e non si sa bene il motivo (o ci si convince di non saperlo).

Arrivato a New York, Flaiano scese da quell’aereo e tornò senza dir niente a nessuno in Italia.

Quando si accorsero della sua assenza lui era ormai in volo sull’Atlantico, “con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole”.

Da quel giorno finì la collaborazione con Fellini, per anni l’amicizia s’interruppe.

 

Realizzato nel 2010, centenario della nascita di Flaiano, il film documentario di Giancarlo Rolandi e ‘Steve’ Della Casa, Flaiano: il meglio è passato, parte da quella strana storia, spartiacque nella vita dello scrittore, quindi si irradia verso il passato, ricostruendo la sua biografia, dalle origini abruzzesi alle peregrinazioni giovanili in giro per l’Italia. Infine si volge al futuro, ancora otto anni dopo il volo Roma/New York, New York/Roma, fino alla morte, per infarto, il 20 novembre 1972.

Nucleo centrale del racconto è la vita di Flaiano a Roma, dove arrivò il 28 ottobre del ’22, viaggiando sul treno dei marciatori in camicia nera (singolare coincidenza per lui che, invece, fu sempre un “marziano a Roma”).

A Roma rimase fino alla fine, sentendola sua città di elezione, come capitò a Fellini, riminese trapiantato e felicemente incuneato anche lui qualche tempo dopo in “questa immensa pancia placentaria… madre profonda e nutriente che evita le nevrosi”.

Fine anni quaranta, anni cinquanta e sessanta. Roma era l’Italia che tornava a vivere e si preparava di nuovo a morire.

I viaggi in giro per il mondo come giornalista e intellettuale curioso e mai appagato, il doloroso lutto famigliare, il gran lavoro nel cinema che mai lo ripagò come avrebbe meritato, l’impegno di scrittore, saggista, uomo di teatro, tutto emerge dai documenti raccolti con affettuosa prossimità ideale alla sua figura, così poco engagé in quel dopoguerra in cui cominciava la corsa al successo e alla visibità a qualunque prezzo.

 

Fra le testimonianze e i punti di vista sull’increscioso episodio americano, quello di Sandra Milo è un breve resoconto dei fatti, ma le poche parole aiutano a capire umori e malumori, caratteri che entrano in rotta di collisione, quasi senza volere e senza accorgersene.

Fellini minimizzò l’accaduto, racconta la Milo, fece battute sull’atteggiamento “infantile” di Flaiano, “… però se avessero messo lui in turistica chissà cosa avrebbe fatto! “ aggiunge ridendo.

Anche Vaime e Pinelli dicono la loro.

Il primo, con pacata comprensione dei fatti, giudica, sì, infantile la reazione di Flaiano,  “… però Ennio non ne poteva più, si sentiva considerato male, ingiustamente accantonato…”.

Pinelli è più tranchant: “ Flaiano sopportava molto meno di me questa predominanza di Fellini che sicuramente la collaborazione nostra l’ha sempre tenuta un po’ in ombra…”.

Un sodalizio che sembrava a prova di bomba si spezzò così per cause apparentemente futili.

Apparentemente, perché dalle parole di Vaime e, soprattutto, da quelle più dirette di Pinelli, affiora qualcosa che va oltre il loro senso immediato.

Dice infatti Pinelli di Fellini: “… quel suo modo di raccontare per immagini spettacolari, stupende… “felliniane”… molte di queste bellissime immagini erano fini a sé stesse, disancorate da quello che a me interessava come scrittore, cioè la trama, il personaggio, i sentimenti…”.

 

Ci sono mondi inconciliabili che si attraggono e si respingono, artisti che la vocazione comune unisce ma il genio individuale divide. E poi c’è tanto altro, il successo che afferra, le strade che si sceglie di percorrere, le vite che si riesce a vivere e quelle che si ha o non si ha la voglia di vivere.

Flaiano era un “satiro” solitario,uomo di un tempo che non gli somigliava e da cui prendeva le distanze con l’arma dell’ironia e del disincanto.

La satira ha uno svantaggio – amava dire - quello di essere superata dalla realtà”, e lui fu quello che si dice un outsider, un acuto occhio critico in un tempo di conformismo sempre più imperante, un’intelligenza troppo raffinata per non vedere oltre la superficie di quella marea montante che Pasolini definì “sviluppo senza progresso”.

Il materiale documentario assemblato nel film raccoglie testimonianze di Montaldo, Fellini, Gassman, Avati, la moglie Rosetta e altri che l’hanno conosciuto. La recitazione di brani da sue opere, letti da Elio Germano, intervengono con giusta cadenza a restituirci il ritratto  di un artista che ammiriamo e di un uomo che amiamo per la sua presenza umbratile in una società di presenzialismo dominante, per quel suo rifiuto delle platee osannanti, per quel chiudere in sé le cose più care e i sentimenti più gelosi.

 

Ci sono alcune parole di Sandra Milo, all’inizio del documentario, che val la pena di sottolineare:

Su quell’aereo, ad un certo punto, andammo tutti a trovarlo in classe turistica. Era molto sulle sue, molto colpito, distaccato, una persona che si vedeva che soffriva…”.

Parole semplici, senza tanti arzigogoli dicono la cosa più vera di lui. Soffrire per un’ingiustizia è cosa fuori moda, piuttosto ci si scatena in risse, anche se solo verbali, si accusa e si conciona.

Flaiano scese in silenzio dall’aereo e salì sul successivo.

Uomo di spirito e di ironia elegante, fu anche amante della risata, lo afferma con certezza Luciano Salce : “A lui piaceva il mondo del cinema, questo mondo di miserie e di grandezza, di arroganza e di imbecillità… al cinema ci siamo divertiti molto a scrivere soggetti … passavamo il tempo a ridere”.

Con Fellini ci si addentra nel repertorio dei ricordi più importanti, ed è illuminante quel suo parlare con autentico affetto dell’amico scomparso:

Era l’amico che tutti vorrebbero avere,un punto di riferimento. Di tutti gli amici scomparsi è quello che è meno scomparso di tutti, perché continuamente c’è il desiderio di commentare con lui qualche cosa, come si sarebbe riso su... era un miscuglio di complicità, di solidarietà, di permalosità, l’amicizia intesa come rapporto di amanti … Fra noi ci sono state interruzioni di anni, per qualche cosa che aveva creduto di interpretare come offesa… io a mia volta mi sentivo offeso perché lui si era offeso, quindi spiegazioni impossibili. Però allo stesso tempo riconciliazioni altrettanto coinvolgenti … insomma, un carissimo amico”.

 

Il ticchettio della mitica Olivetti lettera 22 introduce le sequenze in successione, sfilano momenti indimenticabili dei grandi film di quel celebre sodalizio, brani di scrittura fulminante e corrosiva, frutto di uno spirito libero ma mai aspro, di quella fine ironia tutta “oraziana” che fece di Flaiano l’erede ideale del grande amico di Mecenate e Augusto.

Collage che ha la mutevolezza leggera e icastica a un tempo dei depositi nella memoria, lì dove si annida quel che resta dopo aver dimenticato tutto, il film ci restituisce un uomo, oltre che un artista, e nasce spontanea la voglia di riprendere in mano i suoi libri, “ascoltare” i suoi film, sorridere dei suoi aforismi, smaglianti e sornioni come quella Roma notturna che si specchia nel Tevere o ammicca fra le statue di Fontana di Trevi, quasi che Anitona sia sempre rimasta lì a chiamare Marcello: “Marcello, come here!”.

 

Con i suoi dritti baffi neri e gli occhiali da impiegato di concetto, dietro i quali brillano occhi perennemente divertiti dallo spettacolo e anche un po’ malinconici, ci sembra ancora di sentirlo:

 

Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano.

Che cosa? Che tutto si chiarisca?

L'età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità.

Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni.

Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti.

E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci. La loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi.

Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell'arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia.

In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l'arabesco.

Viviamo in una rete d'arabeschi.

 

Ma - ci dice Elio Germano dal monitor di un vecchio televisore delle origini, uno strepitoso vintage anni ’50 - l’importante è arrivare con fiducia alla prossima estate, dopodichè, riaperti i concorsi di bellezza, i premi letterari, i festival, le danze, potremo affermare a fronte alta che all’estero ci invidiano la nostra allegria”.

 

Dunque niente paura, parola di un marziano a Roma.

 

 

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