Regia di Gaetano Di Vaio vedi scheda film
Loro non ci sono, nemmeno a Natale. Sono sempre fuori casa. Per vederli, i loro familiari devono affrontare attese interminabili, pigiati tra la folla, in condizioni disumane. Perché loro sono detenuti. Sono rinchiusi a Poggioreale, ma l’inferno in cui sono costretti a vivere continua all’esterno delle mura del carcere, nella strada che conduce alla porta di ingresso dei parenti, nelle case in cui sono venuti meno la madre, il padre, un figlio oppure un fratello. Il documentario di Gaetano Di Vaio non entra nelle celle, nelle sale dei colloqui, nei locali sudici e malsani dove l’umanità viene messa tra parentesi in nome di una legge che rispetta i codici ma non sempre i principi della giustizia. L’obiettivo del regista è puntato su ciò che accade fuori, tra la gente a cui sono stati sottratti un affetto, un conforto, una fonte di sostentamento. Sopravvivere, per loro, è un problema non meno difficile che per quelli che sono dentro, da anni, in molti casi, e magari in attesa del processo di primo grado. Ma forse l’importante non è capire come riescano, nonostante tutto, a tirare avanti, a guadagnarsi il pane, ad allevare bambini e mantenere una qualche dignità. Ciò che più conta è capire cosa provino, giorno dopo giorno, a fronte di una condizione umiliante e priva di sbocco, di cui devono spiegare le ragioni ai figli ancora sotto choc. Laddove il lavoro manca e lo stato è assente, la miseria scende a patti con la camorra, per poi precipitare in una povertà ancora più grave, segnata dal dolore della perdita di una persona cara e da un’angoscia di cui non si vede la fine. Le donne che ne sono colpite parlano di sé, della propria vita, in cui pareggiare i conti è una missione quasi impossibile, sia che si tratti di mettere insieme i soldi per mangiare e pagare l’affitto, sia che si tratti di dare un senso ad uno strappo che ha procurato tanta sofferenza senza innescare una vera crescita interiore. L’amarezza è troppa, ed esonda dall’anima, senza che alcuno abbia timore di palesarla. Nessuno nega i crimini commessi, e nessuno li giustifica. Ma, al tempo stesso, nessuno riesce a vedere in quella forma di espiazione una cura che migliora l’individuo assicurandogli un futuro. Al posto della rieducazione, si realizza soltanto un indicibile calvario, che blocca l’esistenza di tutti, colpevoli ed innocenti, avvolgendola nel buio dell’assenza di prospettive. Il che fare rimane, per tutti, un enigma irrisolto. Chi è indigente ha infatti le mani legate, poiché è privo di risorse, ma nella medesima situazione si trova chi è impotente, perché, pur operando all’interno delle istituzioni, ricopre un ruolo subalterno. Il loro Natale è un racconto fermo ad un passato dannoso e sbagliato, che si riflette in un presente non meno drammatico ed irrimediabile. I luoghi sono sempre gli stessi e le parole girano in tondo. Se la via d’uscita non è in vista, non rimane infatti altro che continuare a toccarsi le ferite, per usare almeno, come punto di riferimento, la sicura origine della propria disperazione.
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