Regia di Aureliano Amadei vedi scheda film
2003. Aureliano è un giovanotto dei centri sociali divisi tra fancazzismo e pacifismo, appassionato da sempre di cinema è un videomaker che trova l’occasione di fare cinema vero grazie a Stefano Rolla, regista affermato e amico di famiglia che lo invita a Nassirya a girare un film come assistente. Una volta arrivato in Iraq, venti sigarette è il tempo della sua permanenza, dopo che l’esplosione della caserma dei carabinieri gli cambia la vita spazzandogli via retorica, pregiudizi, amici vecchi e nuovi. 2010. Quasi mai ci si trova di fronte ad un film nel quale lo sguardo del regista coincida perfettamente con la realtà dei fatti narrati. In questo caso, 20 sigarette è la ricostruzione fedele di quanto vissuto in prima persona da Aureliano Amadei al suo arrivo a Nassirya, unico superstite civile dell’attentato che scosse la coscienza popolare sul ruolo dei militari italiani al seguito della missione di pace internazionale. Mai come in questo caso l’ossimoro missione militare di pace è stato usato in chiave narrativa in maniera così efficace, dimostrando quanto su questa frasetta si sia costruito in termini di retorica e mistificazione della realtà. Mai come in questo caso il rischio che il film venga fagocitato dal tema è tangibile, spostando così l’attenzione dello spettatore verso il messaggio senza considerare l’aspetto più cinematografico. In questo senso il premio ricevuto alla Mostra di Venezia nella sezione Controcampo Italiano ha reso piena giustizia all’autore.
20 sigarette è un bel film. Potente e commovente, onesto e mai retorico. Rifiuta l’esacerbazione dei sentimenti, rifugge la denuncia palese, evita l’indagine di stampo documentaristico. Scorrono i fatti che non hanno bisogno di interpretazioni, scorrono facce che rappresentano uomini, scorre il dolore e la paura del tutto umana della morte. L’orrore è universale e Amadei si pone nel mezzo, tra militari vestiti inizialmente di pregiudizi e antimilitaristi ottusi, tra la bislacca vita di prima e quella grottesca del dopo attentato, tra morti in divisa e morti in borghese. Amadei è fisicamente nel mezzo del film diviso in tre blocchi, non ha delegato nessuno a rappresentarlo nascosto sotto la botte mentre tutto il campo andava a fuoco. La scena dell’attentato è girata completamente in soggettiva. Gli altri due blocchi, il viaggio a Nassirya e la degenza in ospedale, sono interpretati dal bravissimo Vinicio Marchioni a fianco di Carolina Crescentini. Tra montaggio alternato e ritmo narrativo elevato, stratificato in diversi formati video, Amadei dimostra di non essersi adagiato sul tema ma al contrario ha cercato di dare un senso alle immagini lavorando sul linguaggio cinematografico riuscendo a donare al film uno stile del tutto personale. Tiene sempre un registro leggero e disincantato nonostante il disastro, perfettamente in linea con la personalità irriverente e ironica del protagonista, con sussulti di vera –e tragica a suo modo- comicità surreale ma non per questo rifugge dalle responsabilità che il prendere in mano una storia come questa comporta. Una responsabilità morale, non istituzionale. Non c’è commiserazione ne’ la celebrazione dell’eroe della patria, c’è solo il ricordo di uomini descritti così come sono stati conosciuti, il fardello del senso di colpa per essere sopravvissuto, le rappresentanze politiche sbugiardate e sbeffeggiate in modo sublime e la consapevolezza che l’essere stato scaraventato nella Storia in modo così brutale ha rivelato una verità universale: ognuno è responsabile di un pezzetto di storia del mondo in cui vive. Tutto il resto sono cazzate.
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