Regia di Aureliano Amadei vedi scheda film
Il tempo e l’abitudine di fumare venti sigarette fanno una storia. Quella popolare, riaffermata dai mezzi di informazione, fiere fameliche pronte a nutrirsi del dolore e della morte causati dall’attentato a Nassiriya del 12 novembre del 2003, in cui persero la vita 19 militari italiani. E quella personale, invisibile, appartata, di un uomo che era lì quasi per caso. Un signore che rincorreva il sogno di creare con le immagini quello che non riusciva a ottenere attraverso le piccole lotte politiche condotte nella capitale a fianco di amici antimilitaristi.
Aureliano, straniero in patria e in Iraq, parla da solo. Fatica a trovare facili intese con i familiari, vive la sua vita giovane come fanno normalmente tanti altri alla sua età. Si pone domande alle quali non trova risposte, intraprende considerazioni personali a rassicurare la sua posizione, usa l’ironia per placare la paura. Si rende conto che il posto dove è andato non è quello descritto dalla tv: la missione di pace in realtà ha ancora qualche residuo militarista, di scontro. Bisogna stare all’erta in mezzo a un paesaggio sempre uguale, irriconoscibile; orientarsi è difficile anche per chi ci sta, figuriamoci per un civile.
L’insieme paesaggistico ed emotivo subisce un sobbalzo improvviso, a cui le soggettive, scelte come primario mezzo espressivo, si dedicano mettendoci a diretto contatto col terrore e oltre, fino in fondo, risparmiandoci pochissimo. Il risultato scuote, turba e mantiene quasi alla perfezione un aspetto pratico. Ha il coraggio di rappresentare quello che oggi gli spettatori italiani non vogliono vedere: ubriachi di commediole all’acqua di rose, l’impatto con una verità politico-sociale come questa costringerebbe a fare i conti almeno con la propria coscienza.
Non importa se Aureliano Amadei è/era un principiante della settima arte, se rischia un linguaggio da fiction. Anzi. Rinasce da questa singolare e orribile esperienza non lasciandosi attrarre dal richiamo dell’oblio per tuffarsi in una ricostruzione del vissuto, come in una seduta psicanalitica da affrontare disteso su un lettino cosparso di cocci di vetro. Le sue sono ferite dell’anima lacerate da una terra straniera, sono lacrime di sangue che deflagrano davanti ai nostri occhi pietosi e impotenti.
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