Regia di Stefano Incerti vedi scheda film
Quando il degrado di se stessi coincide con il degrado di una città (Napoli) e di un Paese (l’Italia). Toni Servillo (stratosfericamente gigionesco) è Marino Pacileo, detto Gorbaciof, voglia sulla fronte e desiderio di chiudere una delle numerose partite a poker consumate nel retro di uno squallido ristorante cinese e scappare via, volando lontano, magari con l’amata Lila (l’inedita, per l’Europa, attrice di Shanghai Mi Yang), figlia del debole padrone del locale (il giapponese Hal Yamanouchi, già Lucifero nel delirante ma vitale Joan Lui di Celentano). La sceneggiatura dell’intensa opera di Stefano Incerti (di gran lunga la sua più riuscita) arriva dritta dritta da Carlito’s Way di Brian De Palma: identici la fretta del passo spedito di Servillo (perfetta versione napoletana dello spacciatore portoricano Brigante), l’urgenza di distaccarsi da un destino segnato, il sentore di morte che aleggia fin dalla prima inquadratura, la camicia (mai cambiata) piegata sopra la giacca e uno sguardo concentrato sul denaro, pensato contato e scommesso (cavalli, bingo, carte, videopoker...) come unico mezzo per svicolare via, correre e correre ancora tentando di superare l’ostacolo dell’ineluttabile intralcio che, prima ancora di compiersi, lo insegue segnandolo senza scampo. E anche la dolce Lila è il contraltare - per un attimo sognante - della Gail (Penelope Ann Miller) che Carlito vorrebbe accanto a sé per sempre su un’isola dei Caraibi. Un film, scarnificato eduardianamente e spogliato dell’irresistibile enfasi depalmiana, che parla poco e guarda molto. Conscio e complice dell’inesorabile fatalità.
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