Regia di Stefano Incerti vedi scheda film
Ma anche se gli proponessero di essere Berlusconi o Nichi Vendola, Toni Servillo garantirebbe il successo del film. Anche se nel caso, soprattutto del primo, potrebbe interpretarne un muto (che dire di più?). I film in cui c’è l’attore napoletano, ormai, sono cuciti addosso a lui. E’ il cinema che gli calza a pennello, adattandosi alla sua fisiognomica: in questo film, nonostante interpreti il leader della Perestrojka, conserva tanto ancora dell'Andreotti de Il Divo e del Mazzini di Noi credevamo. Qui è Marino Pacileo, detto Gorbaciof a causa di una vistosa voglia sulla fronte, simile a quella dell’ex presidente dell’ URSS. Pacileo è un uomo silenzioso e schivo, che lavora come contabile nel carcere di Poggioreale a Napoli ed ha, purtroppo, il vizio del gioco. Ogni sera si reca nel retro di un ristorante cinese della città per giocare d’azzardo con il proprietario del ristorante, padre della giovane Lila, e un illustre magistrato napoletano, tutto si svolge con tranquillità nonostante la violenza che regna sovrana nel mondo del gioco d’azzardo. Improvvisamente però il suo mondo viene scosso dalla scoperta che il padre di Lila, la giovane di cui è segretamente innamorato, ha contratto un debito di gioco che non riesce a pagare e forse la ragazza sarà costretta a diventare lei una forma di pagamento dei debiti. E’ allora che Pacileo comincia a lottare, cercando di volta in volta di trovare una soluzione alle diverse situazioni che si vanno creando, arrivando finanche a sottrarre denaro dalla cassa del carcere pur di proteggere la ragazza. E Lila sembra contraccambiare questa sua gratitudine, ma fino ad certo punto, finché gli volterà le spalle lasciandolo indebitato fino al collo. Allora, l’unica strada percorribile per Marino sarà quella di dedicarsi ad un’altra attività ed entrare così nel giro delle riscossioni delle tangenti e delle rapine.
Dopo sei anni di lavoro di scrittura e riscrittura della sceneggiatura, a quattro mani con il bravissimo romanziere Diego de Silva (pare che fosse sua la scelta per la ’f’ in Gorbacio-f), Stefano Incerti torna nel cuore della sua città natale, Napoli, per raccontare una storia d’amore, ispirata ad una cronaca reale, ma da lui resa scanzonata e divertente, al modo della tipica commedia italiana, ponendo al centro del suo interesse una storia comune. Quella di un uomo e della sua capacità di combattere contro se stesso e il mondo che lo circonda, nella speranza di una vita migliore, nel tentativo, soprattutto, di proteggere la donna che ama.
Se è necessario sottolineare l’essenzialità dei dialoghi, tutti in dialetto napoletano, e che fanno meno rumore, rispetto alla carta dei soldi, continuamente contati nei retrobottega, in questa settima regia di Incerti, non si può fare a meno di riconoscere che più della metà di un film, tutto sommato abbondantemente Sorrentiniano, la fa la bravura di Toni Servillo: personaggio studiato nei minimi dettagli, capace di raccontarsi con la sola mimica facciale, il modo di vestirsi metodico e di camminare. Tra l’altro in una Napoli, che ha gli odori della corruzione e i profumi della tragicità, caratterialmente americana e honkonghese, con i quartieri realmente abitati dagli immigrati orientali, con in sottofondo le sonorità, ormai riconoscibili, di Teho Teardo. Nessuna pretesa, se non il rimando a quel gran genio del cinema muto, che a botta di cappello e bastone, copriva e reggeva il peso sovrumano delle risate con le lacrime. Il Servillo/Chaplin del film di Incerti è un’altra figura difficilmente trascurabile.
Giancarlo Visitilli
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