Regia di Laura Amelia Guzman, Israel Cardenas vedi scheda film
Una storia di disoccupazione e deriva. Anzi, forse non propriamente una storia, bensì un collage di momenti che trasudano un solitario disagio, ma non arrivano, di per sé, a farsi racconto. La narrazione, con la sua faticosa costruzione dei come e dei perché, si annida infatti negli impercettibili momenti di passaggio tra un quadro e il successivo, in cui l’immaginazione è chiamata a proseguire, nel mondo delle ipotesi, la meditazione con cui lo spettatore è indotto ad accompagnare, dentro di sé, i muti frammenti dell’esistenza di Jean Rémy Genty: un haitiano trapiantato nella Repubblica Dominicana, che, pur possedendo un valido titolo di studio, non riesce a trovare un lavoro adeguato. Il suo migrare senza meta è un percorso di involuzione verso lo stadio primitivo, un progressivo ritorno dalla civilizzazione della metropoli alla vita delle foreste. Ed è soltanto con l’approdo alla dimensione selvatica che la sua disperazione riesce a trasformarsi, da concitato grido di aiuto, in una soave preghiera di redenzione. Nel romitaggio silvestre, la voce dell’anima arriva a fondersi con i suoni del cosmo, liberandosi nell’aria senza incontrare ostacoli, né aver bisogno di intermediari o interlocutori. Il malessere assume allora la nobile veste di un dolore universale, che proviene dall’Uomo e parla direttamente con Dio, senza passare attraverso la liturgia ufficiale e la ritualità della fede di gruppo. Jean diventa pienamente conscio della profondità e della perfezione della propria sofferenza solo nel momento in cui riesce a sottrarsi agli sguardi altrui, al giudizio ed al confronto a cui è inevitabilmente sottoposto all’interno della società. Spogliarsi della sensazione di essere valutato e respinto, significa, per lui, riappropriarsi della propria completezza di individuo dotato di intelletto e sensibilità, capace di instaurare, col creato, un rapporto interamente autonomo. Solo nel contesto di questo ritrovato senso dell’umanità primigenia, l’incontro con il prossimo diventa veramente importante, essendo un’occasione di scambio dai contorni nitidi ed essenziali, basata su un preciso – benché non espressamente calcolato - equilibrio tra ciò che si dà e ciò che si riceve. Jean Gentil parte con il linguaggio codificato del discorso sociologico, ma poi si abbandona alla sostanza fluida, e non verbalizzabile, dei concetti primordiali: quelli sui quali, in un luogo infinitamente distante dai grandi eventi del pianeta, si fonda, di nascosto, l’intima unità della natura, delle cose animate e inanimate, visibili e invisibili, materiali e spirituali. In mezzo a queste si colloca, in un altrove a cui non si pensa, eppure è a portata di mano, la semplice vicenda di un uomo che perde la strada, e non vuole più ritrovarla.
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