Regia di Emidio Greco vedi scheda film
Quanta fatica per arrivare al punto. Quanto annaspare alla ricerca del filo di una storia. Quanta inutile attesa prima di far sbocciare la poesia. Forse è una debolezza del cinema italiano contemporaneo questa incapacità di affrancarsi dai logori registri della commedia e di rendere il dramma indipendente dalla caricatura. Questa voglia di trovare l’elemento pittoresco nello squallore della quotidianità sembra l’eredità del neorealismo che, in assenza di una vera ispirazione, tende sempre più spesso a trasformarsi in un’anonima zavorra. Così la figura del “professore”, l’impacciato omone al servizio della tenutaria di una casa di appuntamenti, rimane inizialmente ancorata alla banalità delle faccende quotidiane, alla sua aritmomania che non si amalgama al contesto narrativo, ed al suo essere spettatore di un mondo che apparentemente ferve di colore ed attività, però, in realtà, non comunica alcuna sensazione, nemmeno la tristezza, nemmeno la desolazione. Solo nella seconda parte, grazie all’incontro con la “marchesa”, il film acquista gradatamente un respiro fresco e delicato, e riesce a far parlare la solitudine e il desiderio di amore con un linguaggio sensibilissimo ed anticonvenzionale, eppure semplice e spontaneo, culminante in quel memorabile “Voglio andare dove ti pare” ripetuto tre volte: un tenero crescendo di implorazione pronunciato, nel finale, da una bravissima Ambra Angiolini. Quel sussurro che arriva a farsi grido è pieno del silenzioso palpito della bellezza trascurata, che si offre ma non riesce a farsi notare: le rovine della Villa Adriana di Tivoli, dove il protagonista si reca per passare il tempo, sono lo splendore fuori dal tempo che gli occhi abituati alla routine del presente non sono in grado di cogliere. Il “professore” rimane immerso nelle descrizioni della guida turistica, e non pensa ad alzare lo sguardo, a dimenticare i dettagli storici ed estetici per lasciarsi semplicemente travolgere dall’incanto del luogo. Notizie dagli scavi è un film perfetto a metà, che comincia solo nel momento in cui decide di mollare la presa, di non badare più al racconto degli eventi, alla caratterizzazione dei personaggi, alla contestualizzazione del discorso e si abbandona allo struggente gioco dell’infelicità che gira, a tentoni, in cerca della gioia.
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