Regia di Casey Affleck vedi scheda film
Joaquin Phoenix si ritira dal cinema per darsi all' hip hop.
Uno dei più grandi della nuova generazione di attori ha una profonda crisi esistenziale che lo porta a fuggire da quel mondo dove tutto è finto, dove si è burattini, dove ti dicono dove stare, cosa dire e cosa fare.
"Fare l'attore è un imbroglio" dice Joaquin, fanculo la creatività, non c'è nulla, sei solo mosso da dei fili.
Nella musica puoi essere te stesso.
Ma Joaquin va oltre, non solo prende questa decisione ma vuole raccontarla in un autodocumentario, una sorta di autoritratto cinematografico.
Alla telecamera, pronto a seguirlo ovunque, suo cognato Casey Affleck.
Ora, andare ad informarsi se tutto questo sia una bufala della bufala (la prima la decisione di smettere, la seconda il documentario) può esser decisivo, importante, quello che volete.
Ma forse è più bello star là, credere e non credere, toccare con mano e vedere con occhi l'autodistruzione di uno dei più grandi talenti recitativi della nostra epoca.
Perchè, se fosse tutto vero, e non lo è, il documentario è di un impatto tremendo.
E se fosse tutto falso, come è in realtà, la genialità dell'opera è incredibile.
Il fatto è che qua non si parla di genio, non si parla di vero o finto, perchè i confini, come in tutte le cose più grandi, sono labili.
Qui si parla di coraggio.
Perchè Joaquin si fa di coca.
Perchè Joaquin scopa con delle puttane.
Perchè Joaquin se ne va in giro un anno ridotto come un barbone rischiando di buttare nel cesso tutta la sua carriera.
Perchè Joaquin si prende della merda in faccia, metaforicamente e letteralmente.
Tutto falso?
C'è differenza tra falso e preparato, perchè anche in qualcosa che pianifichiamo per fregare la gente ci può essere tanto di vero.
E questo documentario racconta di come ci si può distruggere, di come è facile passare dalla stelle di Hollywood alle stalle di un motel a farsi, di come il successo può non esser niente, niente, o se è qualcosa è qualcosa di terribile.
Non è un documentario perfetto, tutto è molto ripetitivo, statico, non c'è evoluzione (se non nel finale), non c'è quasi nulla.
La storica ospitata da Letterman e quel celeberrimo "Peccato che tu stasera non sia potuto venire" detto da un incredulo David a Phoenix è senz'altro uno dei momenti top ma solo perchè il più sovraesposto, il più folgorante.
Ma è in altri momenti che va ricercata la grandezza dell'operazione, in quelli di degrado personale e privato, nelle liti con gli amici, nei rari momenti di lucidità in cui Joaquin analizza la propria vita.
E non importa, lo ripeto, che tutto sia montato, perchè anche il cinema, quello vero, è tutta finzione ma le emozioni che ti dà sono vere e vero, almeno in quel momento, quello che racconta.
Phoenix è andato oltre, ha fatto forse del cinema mettendo dentro però tutto il suo degrado, e quel degrado era fottutamente vero.
E quel finale, quel finale è pura poesia, quel tuffo di 20 anni prima si completa adesso e Joaquin va sott'acqua a riscoprire sè stesso.
E comincia a camminare nel fiume, una lunga camminata di una bellezza autentica come poche, altro che finta.
Cammina nel fiume del Poi, nel fiume del ritorno, in quel fiume che anni prima ci aveva portato a interpretazioni magnifiche come ne Il Gladiatore, Signs, Reservation Road, Walk the line e Two Lovers.
Quel fiume del poi che poi ci porterà a toccare l'immensità recitativa in The Master.
E, ora, in Her.
Provateci voi ad esser finti essendo così veri.
Non ci riuscirete.
Perchè bisogna avere l'anima sporca dentro, sporca di qualcosa che non tutti hanno.
Il genio, lo schifo e la complessità di Joaquin.
Provateci voi.
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