Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film
Un talebano catturato in Afghanistan, torturato e assordato da un’esplosione. Deportato in Polonia come prigioniero, fugge. Davanti a lui solo una distesa sterminata di boschi innevati. Una figura di bianco vestita in fuga in mezzo al bianco: nulla di più. Nessun dialogo, niente musica, azione pura. Essenziale. La guerra e la politica non c’entrano: Skolimowski realizza un film che è un manuale di regia. Quasi un’ora e mezza di cinema ridotto all’osso, capace di incollare allo schermo con una sceneggiatura che sta su mezza pagina e un solo, straordinario attore, Vincent Gallo. Anche lui impegnato in un esercizio all’essenza della recitazione: senza usare la parola, interagendo solo con la natura (e per pochi, sensazionali minuti con altri esseri umani), dà una prova immensa (giustamente premiata a Venezia 2010 con la Coppa Volpi; sacrosanto anche il Gran Premio della Giuria a Skolimowski). Braccato, ferito, affamato, il fuggiasco si riduce allo stato animale, guidato dal puro istinto di sopravvivenza: un mammifero, privato di ogni altro attributo (la parola, appunto, il nome, qualsiasi diritto civile) e in balìa della legge del più forte. Quasi un’evoluzione del soggetto del corto I mammiferi di Polanski (per il quale Skolimowski scrisse la sceneggiatura di Il coltello nell’acqua): figure sulla neve, impegnate a sopravvivere. Cinema essenziale.
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