Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film
Il protagonista di questo ennesimo capolavoro di Jerzy Skolimowski, un Vincet Gallo ai vertici della sua ieratica arte recitativa, si chiama Mohammed; letteralmente "il grandemente lodato", ed è l'espulsione di sostanza umana dal ciclo dell'orrore funambolico, iper-tecnologico di una guerra impari. Da un lato apparati tecnologici, dall’altro la paura animale.
Una sostanza animale che poi vediamo prigioniera del metallo occidentale; carlinghe, interni di autoveicoli, compound segreti. Fusioni in leghe di ferro e d’alluminio, dove incappucciati-torturati sono pronti per continuare l'ordine 'industriale', numerico, conteggiato della storia così come non il potere (che è ben altra cosa, anche fare un figlio, espellere un involucro caldo pulsante dalle viscere è forma di potenza) ma il dominio (eccellenza maschile, fallica e spermatica quindi anche fallente) pretende e controlla che sia. Il "grandemente lodato" (Mohammed/Vincent Gallo) viene espulso con una contrazione della viscera di questo ‘meccanismo forzato’, che ha forma femminile (la democrazia, la guerra, la vittoria, la pace) ma sostanza totalmente patriarcale ed inizia il suo vero viaggio nell'esistenza umana. Lì dove le regole sono semplici, e sono complesse le ragioni della loro semplicità. Una fuga-incontro con la vita che, immutata, surgela nel ghiaccio della purezza, nella fatica del passo (della comprensione dei nostri neuroni); aspetta questa nuova esistenza di essere percorsa, inseguita, osservata, maledetta e assaporata davvero. Guardando questo film, lasciandosi conquistare lentamente dal disperante senso di impotenza e di rabbia vitale, si può anche riflettere su cosa diventano un cervo, erba che può nutrire, acqua da bere, paglia che riscalda, luce di una casa, sguardo chiaro di una donna quando tutte queste cose si spogliano della continuità straniante e si imbevono invece di particolare, di una consistenza terribile. Il “grandemente lodato”, cioè Vincent Gallo/Mohammed, percorre l’infinita prolissità, sempre uguale/sempre diversa, della salvezza (sopravvivenza, un sopra vivere che è più del vivere insomma) grazie all’attraversamento (tutto ‘versa’ in lui qualcosa e in tutto lui ‘versa’ qualcosa di sé; quando uccide, quando ruba il latte dal seno, quando dorme, quando guarda uno sguardo, quando sanguina, quando muore) di piccole celle che ne sono una sorta di neutra negazione... L’ennesima conferma di come il maestro polacco con un risvolto quasi ‘scientifico’, di studio molecolare di plot, personaggi e scenari, riesca alla fine a catturare l’immanenza poetica della cose…
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