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Attenberg

Regia di Athina Rachel Tsangari vedi scheda film

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La recensione su Attenberg

di mm40
6 stelle

Nei suoi ultimi giorni di vita, in ospedale un uomo detta le sue volontà alla figlia Marina, poco più che ventenne; il rapporto fra i due, persone molto schiette, è stretto tanto quello che la ragazza ha con la sua migliore amica, la ninfomane Bella. Marina, vergine e solitaria, decide intanto di volersi liberare del peso della prima volta.

Athina Rachel Tsangari può definirsi a buon diritto una vera ‘cineasta’: negli anni, per film suoi o altrui, è stata regista, attrice, direttrice della fotografia, sceneggiatrice, costumista, produttrice e bene o male ha rivestito qualsiasi altro ruolo richieda la presenza su un set cinematografico; Attenberg è la sua seconda opera dietro la macchina da presa e già la distanza temporale di un decennio esatto dall’esordio (The slow business of going, 2000) dimostra la statura autoriale della Tsangari, che gira quando ha effettivamente qualcosa da dire e nel modo che le va a genio. Neanche a dirlo, questa è una pellicola molto personale e particolare: una trama spezzettata da scenette spesso incomprensibili (i balletti delle due amiche su tutto) racconta gli ultimi giorni di un uomo malato, in ospedale, dal punto di vista della figlia ventitrenne Marina, taciturna e solitaria, vergine e sociofobica. Il male di vivere dei nostri giorni, l’introversione (e una più o meno voluta incapacità di interagire con altre persone) in reazione a un’epoca ormai completamente globalizzata, a un mondo aperto a ogni contaminazione sociale, sono al centro del discorso della sceneggiatura scritta dalla stessa Tsangari; tutto è bianco o nero, l’amore è sesso senza sentimento o esperimento scientifico-anatomico, il dialogo è canzonetta, retorica vuota, le gente si assembra invano ai bordi di un campetto da tennis, dove regna il disimpegno, e cessa di esistere in luoghi di sofferenza come l’ospedale. Le relazioni umane procedono come un documentario di D. F. Attenborough, naturalista inglese che Marina e Bella seguono con reale ammirazione, anche se la seconda non ha mai imparato a pronunciare correttamente il suo nome e si limita a chiamarlo Attenberg. C’è tanto da discutere – su cui riflettere, si intende – in un film come questo, non facile eppure girato con grande sicurezza, fotografato mirabilmente da Thimios Bakatakis e ben recitato, con protagonisti saldi nella loro parte come Evangelia Randou, Vangelis Mourikis e Ariane Labed. Messe di riconoscimenti attorno al mondo, compresi a Venezia la coppa Volpi alla Labed e il premio ‘femminista’ Lina Mangiacapre alla regista. 6,5/10.

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