Regia di Anh Hung Tran vedi scheda film
...Ogni cosa segue comunque il suo corso e per quanto uno possa fare del suo meglio, a volte è impossibile evitare che qualcuno rimanga ferito. (Haruki Murakami)
Da sempre cinema e letteratura hanno vissuto un rapporto di amore e odio consumato dai dilemmi di parte, di un pubblico diviso secondo le proprie inclinazioni. Tradurre in immagini un libro è il percorso più frequentato che l’inverso, ma non per questo meno impervio. Degli autori ci hanno regalato delle trasposizioni memorabili che stanno tra una riuscita che rasenta la perfezione e tanti che hanno invece abusato dell’appiglio letterario per lavori dimenticabili. Il regista di origini vietnamite ma di formazione francese Tran Anh Hung, forte della credibilità conquistata con film quali Il Profumo della Papaya Verde(1993) e il Leone d’oro veneziano Cyclo(1995) si misura con un best seller della contemporaneità, Norwegian Wood del celebrato scrittore giapponese Haruki Murakami. Se ci limitassimo alla lettura cinematografica potremmo dire di trovarci davanti ad una storia di formazione, a un melodramma tormentato che vede il suo protagonista, il giovane Toru Watanabe dividere i propri sentimenti contrastanti tra due ragazze, Naoko e Midori, dal profilo psicologico opposto. Tutto qui? Se ignoriamo il libro purtroppo.. è così. Il regista che a metà degli anni 90 colpiva critica e pubblico con la lucidità neorealista di uno sguardo calato nella società vietnamita, accompagnato da uno stile disinvolto e ridondante (tanto che qualcuno lo etichetterà come Tarantiniano..)fino a farci quasi toccare con Cyclo la consistenza di quel ”Saigon, merda” di coppoliana memoria, appiattisce il suo linguaggio e si arrende ad una convenzionalità contenutistica confusa con una ricerca estetica che seppure apprezzabile resta confinata come una gradevole cornice al cui interno si fatica a vedere qualcosa. L’affermazione più ricorrente di Tran Anh Hung rilasciata nelle sue interviste successive all’uscita di Norwegian Wood è stata quella di dichiarare la difficoltà ad intraprendere la trasposizione di un libro che ha amato come milioni di lettori al mondo. Questa difficoltà si è palesata già dalle scelte iniziali, dalla decisione di rappresentare il più possibile il racconto originario che invece è strutturato e complesso, poco adatto ad un percorso di sintesi. Circoscrivere magari le vicende e connotarle minuziosamente avrebbe aiutato ad avvicinare lo spettatore all’interiorità del protagonista, togliendo quell’impressione di un’esposizione forzata di tanti momenti della storia che non risultano efficacemente collegati. Eppure per tornare alle migliori qualità rappresentative del regista, i temi che in Norwegian Wood avrebbero potuto esaltarlo ci sono, dalla depressione alla conquista della sessualità, dalla protesta sociale e studentesca all’emancipazione, al suicidio. La contaminazione tra cultura orientale e nuovi valori che spingono dall’occidente resta in sospeso tra i protagonisti. Delle due presenze cardine al femminile, solo Naoko riesce a crearsi una caratterizzazione più specifica, mentre il personaggio dell’altra ragazza, Midori, risulta svuotata di quella personalità che invece dovrebbe esprimere. L’evoluzione psicologica del protagonista, il suo conflitto interiore restano confinati in un’azione parziale che non dà elementi fondamentali per far avanzare il racconto. L’impressione generale che resta è quella di un lavoro fuori portata intrapreso dal regista.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta