Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Chi vuole veramente divertirsi guardando un film d'azione, deve vedere “13 assassini”, il film di Takashi Miike. La storia è molto semplice, antica e tipica di tanti film western, storici o di cappa e spada che hanno popolato il grande e piccolo schermo, che hanno reso familiare questo tipo di racconto, che lo rende simile da una parte all'altra del mondo: l'eroe fiero e senza macchia, che sacrifica la vita in nome di un ideale, della libertà, in difesa del debole.
Shinzaemon Shimada è il nobile samurai che accetta l'incarico del gran ciambellano di uccidere il malvagio Naritsugu, fratello minore dello Shogun. In un Giappone senza guerre, nella metà dell'ottocento, i samurai sono in crisi di identità, i nobili guerrieri non sanno come mettere a frutto le loro arti. Per questo motivo Shimada non farà fatica a trovare 11 samurai esperti e coraggiosi per formare la squadra che dovrà uccidere Naritsugu, il tredicesimo guerriero verrà reclutato nella foresta, un cacciatore, bandito, vagabondo, che cerca avventure, l'anima ribelle e libera, che non uccide per sudditanza ma per la voglia di libertà, quasi per curiosità e divertimento.
La prima parte del film è quindi quasi tutta imperniata sul reclutamento e la presentazione dei vari samurai, ognuno con la propria personalità tracciata netta, senza sfumature.
Il bene e il male sono ben raffigurati, il primo da Shimada, il secondo da Naritsugu e dal suo samurai Hanbei, delineati i personaggi la storia diventa immediatamente chiara.
Ma è la seconda parte, quella più lunga del combattimento, che davvero è degna di tutta la mia ammirazione, Miike sceglie il linguaggio della lotta per raccontare tutta la rabbia, la mentalità e la devozione al proprio dovere dei samurai, figure intramontabili, che racchiudono un'intera filosofia di un popolo antico e fiero come quello giapponese. Sacrificare la propria vita nel nome di un ideale, non rendere futile la morte... ed è pieno di morte questo film, rappresentata in tutti i modi, dalla prima scena con un toccante e realistico rito dell' harakiri, fino alle torture inflitte da Naritsugo ai contadini che avevano osato ribellarsi, per arrivare a quelle più rocambolesche durante l'interminabile battaglia.
I 13 samurai devono scontrarsi contro 200 soldati armati in un villaggio trappola: scaltri, veloci, abili, riescono a tenere testa nelle prime scene, per poi cominciare a soccombere. Miike non utilizza effetti speciali da supereroi, le acrobazie sono tutte credibili ed efficaci, il sangue e il fango formano un colore unico sui corpi dei samurai, trasformando gli antichi costumi in tute plastiche, per qualche istante sembra di intravedere Ichi The Killer, ma è solo un'impressione, nuovamente mi ritrovo nel Giappone feudale, i miei occhi sono quelli di un giovane samurai che sta morendo e che scorge gli ultimi combattimenti del suo maestro: una scena commuovente e incredibile, tutta inquadrata storta, rossastra e confusa, lo spettatore per alcuni istanti muore con il samurai.
Non mancano battute di spirito, tipiche di certe pellicole, e alcune sono taglienti come le lame delle spade dei samurai: “non credevo che le vostre risse fossero così spassose” dice il tredicesimo assassino ad un samurai.
“Massacro totale” si legge su un papiro scritto con sofferenza da una vittima del crudele Naritsugo, papiro che diventerà una sorta di bandiera per i 13 assassini.
Il duello finale tra i due samurai Shimada e Hambei è quello classico tra il bene e il male, e come da copione sarà il secondo a soccombere, perché questa è una storia classica, con i miti classici, ma raccontata in un modo moderno e personale da parte di un regista davvero geniale.
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