Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Hambei( Masachika Ichimura), al soldo del feroce tiranno Naritsugu ( Goro Hinagaki) sostiene essere dovere del samurai proteggere ad ogni costo il padrone, il prode Shimada( Koji Yakusho) gli oppone le ragioni del popolo, oppresso dal dominio dell’arrogante nobiltà feudale del Giappone di inizio ‘800. In realtà sia l’uno sia l’altro hanno il medesimo codice di valori, pertanto mentono e forse consapevolmente: il guerriero è spinto da un terribile amore per la guerra, egli ama uccidere e essere ucciso in una perversa combinazione di masochismo e sadismo, per lui niente è importante se non dimostrare la propria superiorità sull’avversario. In “13 assassini” del prolifico autore nipponico Miike e dello sceneggiatore Tengan a costituire però l’elemento di crisi all’interno di un universo ove si vive unicamente per morire in battaglia sono le personalità antitetiche del sanguinario Naritsugo e del boscaiolo Koyata ( Yusuke Iseya) chiamato per caso a fare parte della missione liberatrice dei dodici samurai: entrambi, l’uno estremizzandola dall’interno e l’altro contestandola dal di fuori, svelano l’equivocità di un’ideologia aristocratica, alimentata dalla violenza, dall’egocentrismo e dalla passione per l’azzardo. Il primo massacra donne innocenti, taglia loro la lingua e gli arti, il secondo irride ai riti e alle parole d’ordine del nobili Shimada e degli eroi partecipanti all’impresa. Entrambi ostentano fieramente la verità contro la mistificazione della retorica e degli antichi cerimoniali: Naritusugo è crudele, perché ama esserlo, perché la strage è “magnifica”, il popolano Koyata lo combatte per conquistarsi la libertà di godersi la vita con l’ amata. Le ragioni di tutti gli altri restano invece nell’ombra: essi si assumono la missione di vendicare le carneficine perpetrate da Naritsugo solo perché è la strada più semplice per l’autoaffermazione. Più una sfida audace contro la sorte che non una dura necessità: ad acquisirne la coscienza e a rifiutare infine il sacrificio di sé a una concezione di vita dispotica è Shinrukuro ( Takayuki Yamada), il nipote di Shimada, strappato dallo zio alle carte da gioco.
Ma Miike crede al mondo alla cui estetica aderisce soprattutto nell’epica battaglia conclusiva e negli evidenti rimandi ai classici del genere a cominciare da “I sette samurai” di Kurosawa? In “13 assassini” non c’è né malinconia né ironia, bensì accademica presa di distanza da un crepuscolo ormai diventato spettacolo allo stato puro. Per confronti e percorsi culturali suggeriti dal film cfv mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it/post/2664066.html
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