Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Seconda metà dell’Ottocento: nel Giappone feudale l’era dei samurai sta decadendo. Naritsugu, il crudele fratello minore dello Shogun sta mettendo a repentaglio l’onore dello Shogunato e ha indotto Zusho Mamiya, padre adottivo del folle signore, dell’antica casa del clan Akashi a fare harakiri. Bisogna fermare la mano insanguinata del sire Naritsugu. Il concilio degli anziani Shogun decide che Naritsugu deve morire. Sire Doi, membro del concilio deve agire subito e con molta circospezione. C’è un solo uomo che può portare a termine un’impresa rischiosa di questo genere, un uomo difficile da trovare, si chiama Shinzaemon Shimada, un samurai di mezza età di grande valore guerriero. L’uomo accetta di fare l’impresa, è vedovo, non ha nulla da perdere e, soprattutto, ritiene che Naritsugu sia indegno di governare. Shinzaemon è al corrente delle ‘prodezze’ del folle signore, ha visto con i suoi occhi una ‘serva’ ridotta a un tronco umano da Naritsugu per il solo gusto di divertirsi, - le ha tagliato gambe, braccia e lingua. Shinzaemon ha saputo che l’anno prima il sire Naritsugu del clan Akashi, ha violentato la moglie di un membro della famiglia di Uneme Makino, fatto a pezzi il marito, sa anche Shinzaemon che la donna, per il disonore, si tolse la vita.
Altri misfatti ha compiuto il sire, ma l’immagine del torso scheletrico della donna torturata basta a far riemergere nel samurai il ricordo di antiche battaglie e a indurlo a preparare la trappola che segnerà la fine di Naritsugu.
Dopo alterne vicende di rifiuti e fortunate adesioni di provetti samurai pronti a tutto, anche a morire, il piccolo esercito di dodici uomini cui, per avventura, si unisce un bizzarro cacciatore di montagna, comincia la caccia A Naritsugu.
Il film di Takashi Miike [del quale apprezzo visceralmente il côté horror-grottesco Ichi The Killer e quello metropolitano dei due primi D.O.A. per non parlare di Audition e Visitor Q], è un jidai geki classico in cui il regista “50 anni 50 film” si smarca dal cinema che gli è più congeniale e approda felicemente alla classicità [frutto anche del magistero che su di lui deve avere agito di Shoei Inamura del quale fu aiuto].
Memore della lezione di Sam Peckinpah, John Ford, Sergio Leone, - filtrati via Tarantino, - meno di quella di Kurosawa o Mizoguchi [dai quali lo distanzia l'umanesimo e la geometria impeccabile], prossima al cinema del "tramonto del samurai" di Hideo Gosha e Yoji Yamada, Takashi Miike dirige un film perfetto nella prima parte, meno apprezzabile mi pare il secondo tempo, il tempo della battaglia, nel quale, nonostante si faccia sfoggio di bravura, manca l'ordinata, serrata, forza della pittorica rinascimentale [Paolo Uccello] che fu la forza visiva non oltrepassabile di Kagemusha.
Nuoce anche la lunghezza del 'tempo della battaglia', 47 minuti sono eccessivi e la ripetizione dei frames è in agguato, così qualche iato di troppo, improvvisi stacchi di montaggio che frenano l'azione, anche l'evidente preoccupazione del regista di isolare una per una le scene per riprendere 'democraticamente' i 12 eroi samurai [perché Assassins?] e il montanaro villain che ricorda Davide con la fionda.
Quando il ‘mucchio selvaggio’ ha sterminato i 200 tra samurai e manodopera assoldata dal macbethiano signore Naritsugu, il duello tra quest’ultimo e l’eroico Shinzaemon Shimada [superba interpretazione di Koji Yakusho, attore di Inamura e Kyoshi Kurosawa] è deludente e verboso, né bastano un paio di teste recise nette dal busto [horror che è nel patrimonio genetico di Takashi] per dare respiro epico al finale.
I bagliori degli ultimi fuochi, il dolly sui corpi martoriati dei morti in battaglia, allentano la tensione a favore di una piega umana nel grand guignol di occhi sbarrati e ulcerazioni, ma nel cinema del geniale cinquantenne la pietas è un orpello del tempo passato.
E mi sovviene alla memoria il niveo campo di battaglia macchiato di sangue di Alexander Nevskji, la donna che si aggira tra i cadaveri con il lamento trenodico di Prokofiev: niente degli antichi maestri è transitato nel cinema dei grandi registi dei nostri tempi.
Ma c’è il tempo di cinque minuti di ansia predicatoria da assolvere: Takashi Miike diventa retorico, il film si riempie di parole, - il tempo dei samurai silenziosi è finito e i due giovani superstiti, - il nipote di Shinzaemon e il villain – chiudono i cancelli della gloria.
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