Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film
Non convince l’ultima fatica di Carlo Mazzacurati. Ed è un peccato, perché il precedente La giusta distanza aveva centrato in porta. E poi dispiace perché la squadra messa in campo dal regista è di quelle se non proprio da nazionale, quantomeno da campionato di serie A: Stefania Sandrelli, Giuseppe Battiston, Kasia Smutniak, Cristiana Capotondi e Silvio Orlando. Che non a caso dirà di sé: «Sono contento, basta che non mi facciano restituire la Coppa Volpi vinta con Il papà di Giovanna». Ancora una volta nei panni ormai logori dell’eterno perdente (di quelli tanto amati dallo stesso Mazzacurati), Orlando è infatti per l’occasione Gianni Dubois, un “giovane” regista 50enne, ex promessa del cinema, impegnato da anni a barcamenarsi tra nani e ballerine in attesa dell’ispirazione “giusta” (desaparecida anche nel deludentissimo film di Pedro Almodóvar, Gli abbracci spezzati). Ma l’idea che può portare alla svolta naturalmente latita per lasciare il posto a un compromesso quantomeno imbarazzante: dirigere la Sacra Rappresentazione della Passione di Cristo per il Venerdì Santo di un paesino della Toscana. Che qui non ha la verve tagliente di Benigni ma nemmeno la carica ridanciana di Pieraccioni. Il risultato è un pastone di sketch talvolta posticci, spesso scontati, addirittura medissimi, che solo verso il finale hanno la forza di strappare qualche grassa risata. E sono proprio le ultime scene, grottesche e tragicomiche, a ingranare una marcia se non giusta, quantomeno più convincente. E cioè quando il regista non ha più paura di rivelare, come poi infatti dichiarerà, che «l’arte ci salverà dalla catastrofe». E lo stesso vale per l’Italia, mai così cialtrona e poco seducente, capace però di cadere e subito dopo di rialzarsi. La religione c’entra poco o nulla, sebbene si metta in scena la Passione. Da intendersi ovviamente nel suo duplice significato.
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