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La passione

Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film

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La recensione su La passione

di degoffro
4 stelle

Il regista Gianni Dubois, dopo un paio di titoli di successo, apprezzati anche dalla critica, non realizza un film da 5 anni. Il suo agente Pippo lo assilla di continuo affinché si decida a scrivere il soggetto per un nuovo lavoro da girare con Flaminia Sbarbato, capricciosa e viziata star di “Principessa Laurina”, fiction televisiva di successo di Rai Uno e pronta al grande passo sul grande schermo per un’affermazione definitiva. Gianni però non riesce a trovare l’idea giusta da proporre: immagina Flaminia ora insegnate dell’ottocento, ora piratessa, ora prostituta dei giorni nostri, ora “disgraziata persa per le nevi della Lapponia”, ma nulla lo convince. Una telefonata improvvisa lo costringe a lasciare Roma per la Toscana. L’acqua uscita dai tubi marci del suo appartamento ha infatti danneggiato rovinosamente un prezioso affresco del 500, collocato nella chiesetta sottostante. Il sindaco del Comune, per rimediare, gli propone di dirigere la Sacra Rappresentazione del Venerdì santo, l’alternativa è la denuncia alle Belle Arti: “Questa è la busta e questo è il francobollo: manca soltanto lo sputo!” Messo alle strette e tampinato ripetutamente dal suo agente sempre più impaziente, Gianni cerca di trovare tra i suoi conoscenti aiuti registi, qualcuno che possa sostituirlo nella ben poco esaltante direzione della manifestazione. L’incontro casuale con Ramiro, ex carcerato e suo grande fan (ha assistito a una sua lezione in prigione e ne è stato illuminato) ora attore itinerante con il suo camioncino (è impegnato in un bizzarro e scalcagnato spettacolo in cui fa l’alieno in giro per le piazze dei paesini), sembra risolvere i suoi problemi. Quando però Ramiro, che ha preso molto a cuore l’incarico, è costretto a fuggire, Gianni, sempre più depresso anche perché nell’albero del cinema appena pubblicato da “Repubblica” non è stato messo “nemmeno su un ramo secco”, liquidato pure da Flaminia che ha bocciato senza appello la sua idea, nata dall’osservazione di Caterina, l’affasciante vicina di casa, titolare del bar frequentato dall’uomo alla mattina e coinvolta in un’infelice relazione sentimentale con un pianista, deve prendere, sia pure controvoglia, in mano la situazione. Carlo Mazzacurati, a partire dal suo esordio con “Notte italiana” è sempre stato un autore intelligente e sensibile, capace di raccontare il nostro Paese, coniugando, nei suoi lavori migliori (oltre al debutto, da citare almeno “Un’altra vita”, “Il toro”, “L’estate di Davide” e “La lingua del santo”), malinconico realismo e delicata poesia, accompagnati da un’ironia leggera ma spesso pungente. A partire dall’incompiuto e sfortunato “A cavallo della tigre”, remake del classico di Comencini, il suo cinema si è incartato e fatto meno urgente e necessario. “L’amore ritrovato” da “Una relazione” di Cassola era un goffo e pacchiano tentativo, andato poi fallito, di trovare il successo sfruttando la carta Stefano Accorsi, all’epoca sulla cresta dell’onda. L’interessante “La giusta distanza”, comunque il suo lavoro migliore degli ultimi anni, era penalizzato da un risvolto giallo non sempre all’altezza ed è stato completamente ignorato dal pubblico. “La passione” si inserisce nell’aureo filone della commedia, forse nella speranza di una migliore fortuna commerciale, ma nelle sale, oltre che in Concorso a Venezia 2010 (presidente di giuria Tarantino), è passato quasi inosservato. Del resto si tratta di un film svogliato, ripetitivo e asfittico che procede a singhiozzo e senza sussulti puntando in modo programmatico su gag stantie, siparietti comici dal respiro cortissimo, battute telefonate, personaggi stereotipati, tracce narrative appena accennate (l’incontro con il bimbo che ha perso la mamma, durante la rappresentazione sacra) o inutili (la sequenza quasi grottesca che coinvolge il protagonista con la esuberante titolare dell’albergo in cui alloggia è davvero bruttina), una descrizione pigra e anonima di una piccola comunità in cui tutti si conoscono, anche se è brillante la battuta con cui viene inizialmente inquadrata dall’assessore Marco Messeri (“Questo è un paese perbene. E’ una comunità, non è un bancomat!”), temi usurati e una morale spiccia, metafore e parallelismi semplicistici e superflui a partire dal titolo, assoli fini a se stessi dei singoli attori, senza una struttura narrativa di spessore che faccia da adeguata e convincente cornice. Silvio Orlando, già splendido protagonista di “Un’altra vita”, ripete stancamente i suoi clichés, Giuseppe Battiston, pur bravo e premiato con il David di Donatello e il Nastro d’argento, è sacrificato in un personaggio tra il bozzettistico e il sentimentale, Kasia Smutniak è alle prese con un ruolo evanescente, Cristiana Capotondi quasi superflua mentre è indubbio che Corrado Guzzanti sia in palla (a lui sono affidati i pochi momenti riusciti e simpatici del film) ma non sempre può andare al di là della facile macchietta. Stefania Sandrelli si concede un fulmineo cameo, Marco Messeri, protagonista proprio del primo film di Mazzacurati e nome ricorrente nella filmografia del regista, ha poche possibilità per incidere. Viene da chiedersi dunque quanto ci sia di autobiografico nel personaggio del regista Gianni Dubois, la cui crisi creativa sembra coinvolgere direttamente anche Mazzacurati alle prese con un soggetto troppo esile e scontato per riuscire a costruire un film che si distingua dalla massa. Certo non ci sono le volgarità e banalità che affossano i film comici di casa nostra, qualche risata viene strappata (“Nel cinema ci si dà tutti del tu, vero? Anche in galera.”) una velenosa frecciata va a segno (dopo che Gianni ha raccontato il suo nuovo film a Flaminia, la ragazza boccia la sua protagonista come una sfigata, suscitando la reazione sdegnata del regista che commenta: “Allora secondo te adesso Adele H. è una sfigata!” e la ragazza replica stupefatta “Adele chi?” evidenziando l’ignoranza cinefila di giovani generazioni che anticipano sempre più l’inizio della storia cinematografica), un paio di idee brillano (mancando le fotocopiatrici, Ramiro, visti i tempi stretti di lavorazione, decide di far scrivere le copie della sceneggiatura sotto dettatura ai bimbi delle elementari con conseguenti inevitabili errori come per esempio “gatto” al posto di “gallo”, la coda per raggiungere l’unico posto del paese in cui c’è campo per il cellulare o la figura di un Gesù ciccione che prima sfonda la seggiola durante l’ultima cena e poi sulla croce viene sollevato con estrema fatica e solo grazie a robuste corde) ma da un regista preparato come Mazzacurati è lecito e doveroso aspettarsi qualcosa di meno superficiale ed ovvio. Nel dvd da segnalare il trailer del film in versione thriller oscuro e minaccioso: veramente sorprendente. Voto: 5

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