Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film
Non nega, Carlo Mazzacurati, qualche autobiografismo in Gianni Dubois, regista in letale crisi creativa da troppo tempo ormai. Eterna promessa del cinema italiano in un’età in cui, secondo il metodo Arbasino, dovrebbe essere un solito stronzo in attesa di diventare venerato maestro, vessato dal suo agente (lui sì, solito stronzo) per scrivere un film con protagonista una starlette della tv (giovane promessa), viene chiamato in Toscana per prendere atto dei danni fatti dall’umidità di casa sua su un affresco del cinquecento. E allora che succede: per evitare la denuncia alle Belle Arti, è costretto dalla sindachessa e dal suo assessore ad allestire la sacra rappresentazione della Passione di Cristo. Da qui titubanze, dubbi, guai e resurrezione finale.
Ritratto di un fallito senza se e senza ma (toccanti le scene in cui si accorge di non essere presente nell’Albero del cinema italiano di Repubblica), disprezzato da tutti se non da poche anime candide (il galeotto Giuseppe Battiston, la barista immigrata Kasia Smutniak), La passione ha una duplice valenza sin dal titolo: da una parte c’è l’ovvia rappresentazione, che ha tutti i cardini della miglior commedia all’italiana a partire dalla descrizione dei personaggi (un film d’attori perfetto: Stefania Sandrelli e Marco Messeri, politicanti di provincia – sicuramente partitodemocratici – dispotici ed amanti segreti, sembrano usciti da un film di Germi o Risi; Maria Paiato come albergatrice slava è assurdamente credibile; Corrado Guzzanti vola alto con il perverso e ridicolo lettore delle previsioni del tempo divenuto in quattro e quattr’otto Gesù Cristo – ma con sorpresa per eccesso di Stanislavskij); dall’altra c’è la passione vera e propria, che proprio a causa della sua radice latina patior crea tribolazione, sofferenza, ardore nel protagonista. Gianni Dubois a cui il magnifico Silvio Orlando conferisce con la classe del perdente tutti i dolori futuri e tutte le gioie passate.
Per il resto, sembrerebbe un film piccolo, eppure ha una sua base di fondo quasi epica (nei limiti, sia chiaro): se è banale il ritorno nella provincia del paesello per ritrovare se stessi, non è affatto banale il percorso di Dubois e tutto quel che gira attorno a lui, compresa la rappresentazione (in cui la sindachessa recita la Madonna e l’assessore Giuda!). Con belle scene (Battiston in croce; la Toscana parla da sé) e occhio aguzzo (puntellate dalle belle partiture di Carlo Crivelli), Mazzacurati realizza un cinema medio di cui abbiamo dannatamente bisogno con al centro il tema caro dei suoi perdenti innati: la ricerca di un posto nel mondo. Alla fine, forse Dubois la trova. Ed esci dal cinema più sereno, perché ormai ti ci sei affezionato.
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