Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film
La passione è uno dei quattro film presentati in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e il secondo a uscire dopo La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo. La passione rispetto al vincitore del Leone d’Oro, Somewhere di Sofia Coppola, è a distanza siderale dall’estetica e dall’idea di cinema prese in considerazione dalla giuria di Tarantino.
Se è vero che i giurati, tra i quali i nostri Salvatores e Guadagnino non ha dato neppure una chance ai film italiani presenti in mostra e che il ministro (?) della cultura (?) Sandro Bondi ha dichiarato di “voler mettere becco” nella composizione delle giurie delle prossime mostre per salvaguardare il cinema da una cultura elitaria e snobistica quale dovrebbe essere quella imposta, in quanto presidente di giuria, da Quentin Tarantino; aggiungendo che questo film di Mazzacurati è stato dichiarato di “interessa culturale nazionale”e pertanto finanziato dal fondo per lo spettacolo o come cavolo si chiama; infine, dopo aver visto questo film nel quale va in scena una poco velata critica al mondo del cinema si capisce come il cinema italiano sia drammaticamente in balia di se stesso, ostaggio di una mentalità burocratico statale che appiattisce lo sguardo e mortifica ogni ambizione di fare qualcosa di veramente originale.
Dov’è la passione nel cinema italiano? Se lo chiede Carlo Mazzacurati che dopo aver lasciato la bruma rodigina a digerire i suoi morti -La giusta distanza (2007)-, ci porta nella quiete di uno sperduto borgo medievale toscano i cui abitanti, tutti un po’ bizzarri come si conviene alla pittoresca connotazione rurale hanno perso la passione, quella di Cristo nella popolare rievocazione del Venerdì Santo da quando l’illustre concittadino che si prodigava per organizzare la processione fu convocato direttamente dal protagonista del testo a miglior vita. La provvidenza però ogni tanto ci mette una pezza, in questo caso Gianni Dubois, interpretato dalla maschera nazional popolare del perdente con etica di Silvio Orlando, regista eterna promessa del cinema italiano ormai in cronica crisi d’ispirazione. Anche Dubois ha perso la passione, quella per il cinema, il suo lavoro. L’occasione per ritornare in carreggiata riaffiora in un affresco del 500 che condivide il supporto murario con casa Dubois, offeso da un volgare tubo dell’acqua marcito che a dispetto della santità del dipinto si è messo a lacrimare copiosamente. Un miracolo. E una sana dose di cinico esercizio del potere da parte del sindaco – straordinario ed efficace cammeo di Stefania Sandrelli - spalleggiato dal braccio armato: l’assessore, che non a caso nella rievocazione della passione del cristo interpreterà Giuda. Il ricatto è servito, l’ex popolare regista dovrà dirigere La Passione rionale con gli abitanti del luogo evitando così la denuncia alle Belle Arti.
Intendiamoci, non è un brutto film La passione, tutto il primo tempo è anzi molto divertente e leggero e Mazzacurati la provincia italiana composta come un diorama entomologico di nefandezze nazionali, la conosce e la ama davvero. L’amarezza di fondo è stemperata dalla trattazione quasi grottesca delle maschere che interagiscono con il tormentato Dubois in esilio forzato. L’epopea cristologica è sublimata nella passione degli abitanti perfettamente aderenti con i personaggi che andranno ad interpretare durante la via crucis per le ripide strade del paese. Soprattutto Giuseppe Battiston, ladro redento offre un’ottima prova, sofferta e sincera nel mettere in scena il sé stesso Cristo in croce. I cammei sono azzeccati, Cristiana Capotondi si prende un po’ in giro, Kasia Smutniak nella sua battuta “piangere è la cosa che mi riesce meglio in questi giorni” fa un po’ impressione visto le vicende famigliari che l’hanno colpita di recente. Ottimo anche il cammeo di Corrado Guzzanti, esilarante e tragico nello stesso tempo che offre alle scene un attore cane che legge le previsioni del tempo e in predicato di interpretare Gesù in croce volendo aderire in modo totale al metodo Stanislawski…..
Poi un po’ tutto si sgonfia, il secondo tempo risente della debolezza del soggetto e della siccità di idee che colpisce la trama non supportata da una regia un po’ in affanno ma “coperta” dalla sempre ottima fotografia di Luca Bigazzi. La satira verso il cinema si ritrita e si rimastica, la faccia da bracco di Orlando ci si accorge che non cambia mai per tutto il film, alcuni momenti tirati un po’ troppo per le lunghe annacquano il tutto verso un finale in cui la passione riemerge e la resurrezione di un intellettuale in guerra con un sistema marcio finalmente si compie ma senza emozionare più di tanto.
Vedendo il film non posso che essere d’accordo con la giuria di Venezia nel non dargli neppure una possibilità, il problema non è la giuria è che il film non è da presentare ad una mostra così, in concorso. Di film del genere è piena la (nostra) storia del cinema: provincia, sketch e macchiette. E un tema importante che moralizzi il tutto. Non c’è nulla di male ma da lì non usciamo, mai.
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