Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film
La passione e la speranza ovvero come un artista in crisi creativa si potrebbe tirar fuori da un grosso guaio di cui porta per intero la responsabilità.
Il regista Gianni Dubois (Silvio Orlando) sta attraversando un momentaccio: da cinque anni non ha un’idea convincente per un nuovo film e per questo il suo produttore lo incalza sempre più sgarbatamente. La sua crisi però è profonda: si lascia vivere, abulicamente, dimenticando persino di fare la manutenzione indispensabile della sua casa rurale, in un pittoresco villaggio della Toscana.
Per questa sua negligenza, il comune gli chiede il conto della rovina di un antico affresco che, in una cappelletta adiacente, ha subito le conseguenze di una perdita d’acqua mai riparata.
Durante l’abboccamento col sindaco (Stefania Sandrelli), Gianni si lascia convincere, sia pure con molta riluttanza, a rimediare, facendo rivivere, grazie alla propria abilità di regista, la sacra rappresentazione che per secoli, durante il venerdì santo, aveva mobilitato le energie, la fantasia e la generosità degli abitanti del luogo.
Il paese, certo, non è più quello dei tempi antichi, ma le novità tecnologiche – che sono arrivate anche lì – sono poche e funzionano male; la vita di tutti è regolata da ritmi un po’ lenti e sonnacchiosi.
La noia può essere vinta, tuttavia: gli abitanti sono ancora capaci di commuoversi e di meravigliarsi, persino per l’arrivo di un … marziano misterioso, che ha paura dei cani (magnifico Giuseppe Battiston).
Questi, riconoscendo in Gianni colui che gli aveva insegnato l’abc della recitazione quand’era in carcere, ora intende mostrargli la propria gratitudine, aiutandolo a realizzare la sacra rappresentazione.
Il risultato, dopo mille colpi di scena, intoppi e sorprese, per quanto sgangherato e imperfetto, era stato positivo: tutti gli abitanti del luogo avevano collaborato, con compiti e ruoli diversi, dimenticando piccoli o grandi problemi individuali, alla sua riuscita.
Conclusione (forse metaforica): speranza e auspicio che, nei momenti più difficili, le risposte e le soluzioni si possano trovare mobilitando le energie collettive, e attingendo alla cultura del passato, di cui la sacra rappresentazione potrebbe essere emblematicamente simbolica, oppure – come qualcuno ha sostenuto – conclusione regressiva e reazionaria: il passato del medioevo e delle sacre rappresentazioni non fornisce alcun aiuto alla soluzione delle difficili crisi del presente.
Il film, condotto con garbata ironia e abbellito dai suggestivi scorci del paesaggio toscano (Luca Bigazzi è il fotografo!), non esce dall’ambiguità di questo finale poco convincente.
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