Regia di Richard J. Lewis vedi scheda film
E’ un film che aspettavo di vedere da tempo e quindi lo giudico adesso, a visione ultimata, con aperta soggettività. Perché esprimo un giudizio e perché mi aspettavo ben altro.
Vita, morte e miracoli di Barney Pannocch… ehm, no, Pastrocch… volevo dire Pornosk… no no no… (vabbè lasciamo perdere), by Barney P… quello lì insomma.
Un uomo che ottiene facilmente qualsiasi genere di impiego (senza alcun apparente merito), che si circonda di amici, diciamo, “bislacchi” (artisti - e glielo si concede - ed irrimediabili disperati), arrogante nei modi anche (ma non solo) quando si tratta di difendere l’indifendibile (il padre e la sua sete d’alcol), costantemente avvinghiato al collo delle bottiglie di liquori, fumatore incallito (ma anche questo glielo si potrebbe concedere) che si sposa due volte senza ragione per poi rimanere folgorato, proprio il giorno del secondo matrimonio (ma toh guarda che grand'uomo), da una terza donna (quella della sua vita) che non ha neanche la metà della bellezza della prima (ma, d’altronde, pace all’anima sua), né soprattutto un terzo della bellezza della seconda (sono troppo severo, lo ammetto; colpa del make-up della Pike e del confronto, perso in partenza, con le precedenti).
Un uomo, per di più, perseguitato dall’ombra di un sospetto infamante…
Eppure un uomo (e qui devo invertire il verso di marcia) che ama smisuratamente l’Italia da cartolina (aspetto che non deve essere necessariamente considerato come negativo).
Nonché un uomo che usa piccoli, ben studiati accorgimenti per tener viva l’autostima della storica protagonista del suo show. Che può dirsi a posto con la coscienza (anche se verrà fuori solo all’ultimo, senza che lui ne abbia soddisfazione); un uomo che sa amare profondamente e che, nell’ultimo stadio della sua stagione evolutiva, finisce per appassire (benché vittima colpevole di una vita condotta al massimo) teneramente. Sicchè quasi si finisce per perdonargli i suoi umani sbagli (come se fossero gli sbagli di tutti); quasi si finisce per volergli bene…
Quasi, appunto.
Ai margini di tale monologo monocolore non rimane, poi, molto.
Rimane, ad es., una donna (l’ultima delle tre), quella che ha avuto il coraggio di sposare un uomo del genere e che poi, con la patetica scusa della fugacissima scappatella di questi, tanto è illibata e irrimediabilmente turbata da doversi rifugiare fra le braccia (aperte da un pezzo) del terzo.
La versione di Barney è, dunque, un dramma (primo punto fermo) assai mediocre (che può, nondimeno, vantare spruzzatine sparse di comicità yiddish, per “bocca” del buon D.Hoffman nei panni del padre del protagonista) che, purtroppo (tanto è greve), rimane pure abbastanza viva nella memoria (per cui ha pure il paradossale demerito di non lasciarsi dimenticare così facilmente).
Anche perché, a visione ultimata, rimane un dubbio atroce. Ma il Barney P. descritto da M.Richler gli è stato ispirato dal famoso Barney dei Simpsons (l’obeso, ubriacone amico di Homer) o è stato M.Groening ad essersi ispirato al primo? Davvero non sono riuscito a cogliere le differenze (rutto libero a parte).
P.S. Ci sono migliaia di libri che meriterebbero di essere letti. Dopo aver visto questo film, il soggetto del medesimo (sempre a cura di Richler) finisce direttamente agli ultimi posti della fila.
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