Regia di Richard J. Lewis vedi scheda film
Dolce e bastardo, politicamente scorretto, bohémien, donnaiolo, cinico, romantico... Barney Panofsky salta fuori dal bestseller di Mordecai Richler per soddisfare le platee dopo il successo del romanzo, ottenuto soprattutto in Italia dove proliferano i Barney, quelli che si inebriano del proprio degrado e chiamano i “buoni” buonisti. Produttore televisivo di successo, il protagonista della Barney’s Version cinematografica è Paul Giamatti, che passa dal se stesso allegro ebreo ricco all’anziano Barney affetto da Alzheimer, nostalgico del suo passato formidabile. E che affiderà le sue imprese a un’autobiografia in risposta al velenoso pamphlet di un ex compagno di sbornie e malefatte. Tra l’altro, è accusato del delitto di un amico e di aver provocato il suicidio di una (incinta) delle sue tre mogli. Per ingigantire un personaggio così in bilico tra la battuta yiddish e la più fangosa delle vite ci voleva qualcuno come Woody Allen, amaro e apocalittico. E invece dietro la macchina da presa c’è Richard J. Lewis, ricordato per Un poliziotto a 4 zampe 3 e la serie Tv CSI, che trasforma il disincanto esistenziale di Barney in una mascalzonata goliardica stile Amici miei. Collage di banali battute razziste e sessiste destinate a comporre un ritratto visivamente tronfio, colori pomposi, arredo stucchevole, forme benpensanti... Tutto il contrario della personalità urticante di Barney, che si bea della “bella” morte del padre ex poliziotto picchiatore di presunti criminali, stramazzato sul letto di un bordello. Lo sguardo “a quattro zampe” di Lewis invece di toccare l’abisso sublime della perfidia umana, che tanto piace ai consiglieri del re Travicello, si attesta su una Barney’s Version alla melassa, con l’ometto innamorato respinto, infelice ex cattivo, solitario povero cristo.
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