Regia di Richard J. Lewis vedi scheda film
Praticamente un Giamatti show.
L'epopea esistenziale di Barney sballottatore di emozioni, a sua volta sballottato da eventi che spesso appaiono sovrastarlo.
Barney è un poco serious man, buono nell'anima, ma irrequieto in tutto il resto del suo essere e, come sappiamo, la spontaneità sregolata, l'istinto feroce e smodato, non portano quasi mai a nulla di buono, specie se il corso degli eventi ti si catapulta addosso alla rinfusa e tu non fai proprio nulla per mettere ordine.
Nel corso del film si accavallano gli interrogativi: cosa lega Barney al variegato universo femminile che incontra? Cosa lo fa innamorare della prima moglie? Cosa lo spinge a sposare la seconda? E cosa spinge la terza a sposare lui? Cosa lo lega al padre in maniera viscerale? Cosa non lo lega ai figli? Cosa lo rende smaniosamente instabile? Cosa non farebbe per gli amici del cuore? Cosa lo rende insofferente del suo mondo, in un quasi autolesionismo legato a doppio filo ad inguaribile guasconeria?
Certo una vita cosi si presta alle più svariate interpretazioni da parte dello spettatore sommerso dagli eventi e dal loro concatenamento.
Il Barney stanco, appesantito, ingrigito ma causticamente aspro col quale impattiamo ad inizio pellicola, fornisce subito la dimensione degli eccessi e dei fuori misura cui andremo incontro, assioma al quale non si sottrarrà poi, chi più chi meno, nessuno dei coprotagonisti, ad iniziare dall'algida Miriam, unico forse vero amore (o ennesima sfida da collezione?) a scuotere Barney nel profondo; ecco, Miriam ci sorprende per la sua costante linearità. E' concupita dall'insistente Barney, o fin dal primo istante ha saputo quello che voleva? Film facendo, propenderemo per la seconda ipotesi.
Moglie, e madre, Miriam mette subito i puntini sulle i ed al primo sgarro molla la nave, assieme ai figli mai affascinati da cotanto padre, cosi poco padre perché troppo poco di tutto.
Campa di Produzioni Inutili, Barney, e di riflesso, spalma tutta la sua vita di quello che mano a mano arriva; manca l'analisi, la ponderazione, la critica: si vive d'emozione e di rapido divenire (conoscenze/matrimoni/separazioni).
Cosi ci tocca solo un effimero squarcio del Barney affabile che affabula Miriam passeggiando a Central Park, e subito dopo, invece, una serie di quadretti a renderlo discutibile a lei ed a noi. Questo il buono ed il meno buono del cinema da trasposizione: cinque minuti d'immagine, a volte, possono poco contro cento pagine di scandaglio ricche di sfumature.
Ma tant'è: prendere o lasciare. E noi sicuramente prendiamo.
Libro e film infilano di tutto nella storia di Barney, e sicuramente nel libro (che non ho letto) esistono infinite altre chiavi (perdonate il calembour) di lettura.
Ma il cinema pota e sfoltisce, mille sospiri e mille sfaccettature da somatizzare, rovesciandoti addosso in un nanosecondo vagoni di sensazioni a pelle, di pre-giudizi, di svarioni emotivi, che abbisognano di rapidissimo, e magari fallace, tirar le somme, complice il tempo di sala irrimediabilmente tiranno.
Al non-lettore-fruitore-di-cinema rimarranno, quindi sospesi, infiniti quesiti, anche sull'imbastitura giallo/thriller della presunta uccisione dell'amico (avrei lasciato più d'un dubbio invece di filmeggiare subito in palese difesa di Barney...).
Ma qui siamo ai peccati veniali, come il minimo e goliardico spazio destinato al papà di Barney, scorza vulnerabile in uomo complesso, un Dustin Hoffman che ammiriamo assolutamente sontuoso nella cena a tavola coi consuoceri, o al matrimonio con Miriam o a tavola col figlio ed accattivante anche da morto “sul più bello”..., mentre facciamo una fatica immane per immaginarlo, poi, ad un'altra tavola, a Presentarsi i suoi nel trash più ignobile.
Non ho letto il libro. Mi sono comunque goduto Giamatti.
Che già da solo vale quattro stellette.
Chissà che m'avrebbero combinato i Coen poi, con un soggetto simile...
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