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Post mortem

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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La recensione su Post mortem

di obyone
9 stelle

 

Mario Cornejo è un uomo grigio in un mondo grigio. Incapace di eccellere, è mediocre sul lavoro come nella vita privata. È il dattilografo dell'istituto di medicina forense ma non è capace di usare la macchina per scrivere. Un ragazzino, nella cucina di casa sua, completa, per soldi, il lavoro che non ha svolto in ufficio. Cornejo trascrive su un blocchetto le annotazioni del coroner che esegue le sue analisi sui corpi di uomini e donne. L'autopsia di una giovane ballerina morta per denutrizione è seguita con attenzione da Cornejo che riporta con perizia le motivazioni di un decesso anomalo ed efferato. Una fine orribile che viene facile imputare al regime repressivo di Augusto Pinochet.

Davanti alla casa di Mario abita una donna. Una soubrette passionale e scontrosa. Cornejo ne è invaghito ma è un uomo troppo banale, microscopico ed inutile per sperare che si accorga della sua presenza dall'altra parte della strada. Un bel giorno però lo smilzo ed emaciato burocrate ha l'occasione di entrare nella galassia della vicina ove orbita un'umanità sovversiva di uomini politicamente impegnati a sostenere un governo dai giorni contati. 

"Post Mortem" di Pablo Larrain è il secondo film dedicato alla storia contemporanea del Cile. Il primo, "Tony Manero", era ambientato nel periodo di "massimo splendore" della dittatura militare. "Post Mortem", invece, corre lungo lo spartiacque che azzerò la storia del paese. Larrain racconta la fine dell'era Allende dall'insignificante appartamento di Mario Cornejo, dal claustrofobico rifugio di Nancy Puelma e dall'asfittico laboratorio del dottor Castillo. Il cambio del potere è raccontato attraverso le azioni compiute in luoghi lontani da quelli resi iconici dai telegiornali, dai documentari e dal cinema impegnato, Costa-Gavras su tutti. Larrain attraversa una manifestazione popolare, dà testimonianza dei rastrellamenti attraverso i rumori filtrati da una doccia ma non racconta la storia ufficiale, le sparatorie, i carriarmati, le bombe sul Palacio de La Moneda, gli interrogatori e le torture nascosti nell'Estadio Nacional de Chile. Il golpe di Pinochet è quello impresso negli occhi, non del tutto consapevoli, di Mario, di Castillo, di Nancy, di Sandra. Sono gli occhi del cittadino comune che ha attraversato il confine tra democrazia e demagogia senza avere la piena coscienza di un terremoto politico e sociale destinato a produrre, nell'immediato, scosse telluriche di elevata magnitudo, e, nei decenni successivi, infiniti colpi di assestamento, spesso impercettibili alle orecchie più sorde.

Pablo Larrain compone il suo film di numerose sequenze, quasi dei cortometraggi, unite dal filo conduttore del reietto protagonista, sequenze spesso lunghe, con camera fissa e protagonisti che entrano ed escono dall'occhio della camera.

Sono splendide queste sequenze, costruite attorno ad una fotografia livida e rumorosa, nell'evocare quei giorni difficili in cui la popolazione dovette fare i conti con una realtà improvvisamente modificata dal potere. Ecco allora le discussioni dei medici, improntate ad un acceso socialismo, virare verso un pusillanime allineamento alla dittatura militare e la libertà politica tramutarsi in prigionia e latitanza. In quel clima anche l'uomo comune, il meno impegnato politicamente, fu chiamato a salvare la pelle, a disconoscere il passato per sopravvivere alla nuova era. 

Rispetto a molti altri Mario Cornejo fa molto più del necessario per adattarsi al momento. Il golpe militare conferisce al suo agire, impensabile ed improvvisa, la legittimazione del potere, quella di cui si fanno schermo i vigliacchi e i malvagi. Cornejo si vanta della nuova posizione, del ruolo servile ma fedele al regime e diventa egli stesso promulgatore del nuovo ordine. L'omuncolo diventa, finalmente, qualcuno. Cornejo, tuttavia, non abbraccia la causa del "nuovo ordine", se ne serve, così come il potere si serve di lui e di tutti coloro che rimangono a guardare, pusillanimi, il succedersi degli avvenimenti.

Il Cile di Larrain è un paese di opportunisti, di persone pronte a salire sul carro dei vincitori, troppo indaffarate a tirare avanti o troppo impaurite per pensare a qualsiasi forma di resistenza. La grande storia è influenzata da ogni singolo individuo, non dalle gesta dei potenti. Lo ripeteva Tolstoj, fino alla noia, in "Guerra e pace". Il regista cileno si trova sulla stessa linea d'onda ripetendo, come una litania, che dal silenzio di molti uomini e donne dipende il successo di ogni dittatura.

In un film dominato dalla presenza scenica di Alfredo Castro, vessillo del cinema di Pablo Larrain e simbolo di un cinema libero dal giogo della memoria, si impongono comunque le immagini potenti dei numerosi piani sequenza adottati dal regista per restituire emozioni soffocanti e brividi raggelanti. L'assistente del coroner scavalca un cumulo di cadaveri e sbrocca alla vista di un giovane desaparecido e di un'infermiera, entrambi passati per le armi dei militari mentre, in un crescendo di orrore, il regista di Santiago ripropone l'autopsia di un sessantacinquenne suicida con la testa crivellata da una pallottola ed il raggelante accatastamento di sedie, tavoli e credenze davanti alla porta di una nazione destinata a rimanere chiusa in se stessa per lustri consumando pian piano le proprie sostanze, il proprio spirito democratico fino ad uscire come corpo emaciato e denutrito da una dittatura lunga sedici anni.

Ci volle un "No" e un "arcobaleno" per restituire dignità a quel vecchio "suicida" e a quella donna intrappolata per giorni in un nascondiglio, destinata a cedere, con le ossa rotte e la pelle violacea, davanti ad una porta impossibile da aprire.

Grandissimo cinema. Lucido come un tavolo autoptico, penetrante come le luci di una sala operatoria, tagliente come un bisturi affilato. (V.o.s.)

 

DVD - Ed. CG Home Video

 

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