Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
In questo film viene letteralmente fotografato il massacro del Cile nel colpo di Stato del 73, e dico letteralmente perché non ne viene riscostruita una storia in generale, ma viene scolpita nell’esistenza di un uomo, Mario, che svolge una vita abitudinaria, legata alle meccaniche vicende domestiche e professionali di funzionario, con il compio asettico di trascrivere le descrizioni mediche delle autopsie. Un’esistenza, se vogliamo, ordinaria, senza alcun interesse che vada al di là del proprio continuare a vivere, perseverando se stessa nella ripetizione quotidiana.
Nel Cile del 1973, al tempo di Unidad Popular, questo signore del tutto integrato, funzionario alla morgue di Santiago, si trova a fare i conti con qualcosa di straordinario, che gli perturba l’animo, glielo sconquassa, perché forse solo di questo è capace: si innamora, cioè, della sua vicina di casa, Nancy, la quale, però, vive in un mondo più ampio, perché respira l’aria della sua famiglia politicamente impegnata, per sorreggere da sinistra l’U. P. Sono momenti difficili per chi crede nel governo di Allende, e lei stessa appare smarrita, perché vorrebbe qualche evasione, chiudere gli occhi di fronte alla lotta. In questo temporaneo smarrimento si imbatte pertanto in Mario, che con i suoi modi gentili e pacati sembra non aver nulla a che fare con la storia, e perciò gli si concede. Ma se per Nancy tutto ciò è solo una temporanea evasione dalla realtà, per Mario è la sola e unica realtà che sa vedere. Perciò la invita al ristorante cinese e le chiede di sposarla, ma, naturalmente, Nancy fa finta di non sentire e cerca di cambiare discorso.
Nel frattempo gli eventi incalzano, e qui Larrain registra il colpo di stato in un modo superbo, per sottrazione, limitandosi a riprendere Mario mentre si sta facendo la doccia, mentre tutto intorno, dai rumori violenti e dalle grida, lo spettatore intuisce che il mondo impazza, mentre Mario, concentrato a lavarsi, non si accorge di niente. Solo dopo, a fatti avvenuti, si avvede della desolazione presente nelle strade, della casa della sua vicina violata e messa a ferro e fuoco; e quando si reca al lavoro tutto è cambiato: sono presenti i golpisti, i militari, che dettano nuove regole contro il protocollo, l’obitorio viene riempito di cadaveri.
La sola preoccupazione di Mario, però, è di rintracciare Nancy, e tornando a casa la ritrova nascosta nell'abitazione, scioccata per la scomparsa del padre e del fratello. Mario, di fronte a tutto questo disastro inenarrabile, e che solo le immagini possono trasmettere, come reazione di affetto le ribadisce se vuole sposarla, rasentando un effetto grottesco macabro che, ad un tempo, diventa la rappresentazione di quanto sia radicata nell’esistenza anonima la banalità del male.
Il regista, pertanto, ci fa entrare progressivamente nell’esistenza di quest’uomo, che si prodiga per tutelare Nancy barricata in casa, procurandole lo stretto necessario per vivere, per tenere, tramite una radio, un flebile contatto con il mondo. Nel frattempo i medici, gli infermieri, che fino a prima del golpe erano tutti favorevoli all’U. P., si mettono al servizio dei golpisti, con Mario sempre presente, con l'unico handicap che non sa ancora trascrivere i referti con una macchina da scrivere elettrica. Scena cruciale è l’esame autoptico del corpo di Allende, che nel suo cadavere post-mortem viene rappresentato tutto il Cile schiacciato da una dittatura assurda e al tempo stesso voluta.
E qui entra in gioco una riflessione se vogliamo alla Foucault. Di come cioè sia reticolare e pervasivo il potere. Perché il regista, nel riprendere il golpe sui volti di medici, infermieri e funzionari civili, sottolinea come il potere non sia un qualcosa di univoco, compatto, tutto da una parte, ma come una rete si insinua nelle anime che lo subiscono, rendendole protagoniste del potere stesso, proprio perché continuano a svolgere le stesse mansioni che svolgevano prima, diventando così non solo complici del potere disumano, ma i suoi stessi fautori, per ragioni di convenienza, di sopravvivenza, ma che piano piano si autogiustificano, si rafforzano, e diventano ragioni solide, razionali, distintive di una svolta esistenziale, come sostegno ormai sedimentato del potere medesimo.
Non a caso lo stesso Mario, dopo un in iniziale vacillare, ma solo per “amore” di Nancy (aiuta un uomo ancora vivo tra i cadaveri ammassati nel sotterraneo dell’obitorio e lo porta di nascosto nell’ospedale contiguo), si sente nuovamente integrato nel nuovo regime, con la tragicità che tutto ciò avviene in modo uniforme, senza scossoni, perché Mario, in fondo, resta sempre il medesimo, con la consapevolezza, però, di essere finalmente dalla parte sicura, che non può più subire affronti. E proprio per questo, di fronte al rifiuto di Nancy, ricorrerà alla vendetta più spietata, serrandola nella casa di lei, accatastando sull’uscio dell’abitazione, in un lungo finale violento e scarnificato, un mucchio di sedie, tavoli, scaffali, materassi, e tutto ciò che gli capita per seppellire quell’esistenza a cui per caso si era avvinghiato. Questa scena è ancora più straziante perché il soggetto è fuori campo, mentre si vede soltanto il cumulo crescere per seppellire l’esistenza di Nancy nella sua casa, quasi come fosse un atto di rimozione, un non voler più vedere ciò che per un attimo ha destato Mario alla vita.
La storia dunque viene qui raccontata attraversando l’esistenza di un personaggio quotidiano, preso nel suo privato, per delineare la pervasività del potere, che avvolge tutti, anche i più neutrali, rendendoli responsabili e fautori della riproduzione del potere; tutto ciò ripreso con un glaciale distacco, con stile autoptico, lasciando parlare i volti, ma più che i volti le facce, i corpi morti e straziati nel loro assordante silenzio.
Alfredo Castro fa magistralmente di Mario un essere famigliare ed estraneo, perché in fondo si tratta di un film che ci rende tutti responsabili, e forse è anche per questo che è un film che scuote la coscienza, elegantemente disertato; perchè ci indica quanto sia importante lavorare su se stessi, per non dimenticare mai che anche noi siamo come Mario, e solo non dimenticandolo possiamo evitare, forse, di esserlo.
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