Regia di Alex de la Iglesia vedi scheda film
Le vicende del film si svolgono principalmente tra la valle dei Caìdos – colossale monumento funebre a Nord dell’Escorial – e un circo di Madrid, ciò che mi induce a una breve introduzione storica.
Il complesso monumentale fu voluto dal governo franchista e realizzato fra il 1940 e il 1958, grazie al sacrificio dei prigionieri politici, gli sconfitti della guerra civile (1936 – 1939) che offrirono le proprie braccia al progetto che prevedeva la sistemazione di un’enorme croce all’ingresso, nonché l’ampiamento della cripta di un’antica abbazia benedettina (San Lorenzo del Escorial), in modo da renderla idonea a ospitare le spoglie dei militari caduti durante quel conflitto sanguinoso. Questo luogo ci dice, quasi da solo, che la lettura del film non può che essere storico-politica.
Quei lavoratori singolari speravano di accorciare il periodo di detenzione riguadagnando presto la propria libertà individuale. Non andò così, per una gran parte di loro, deceduti per incidenti sul lavoro o sfiancati dalla fatica.
Il circo madrileno, in cui si svolge una parte importante del film, è la metaforica rappresentazione della Spagna, all’interno della quale agiscono due pagliacci, allegoriche maschere che, rappresentando la rivalità delle posizioni politiche, si dilaniano per amore di una trapezista bellissima, Natalia (Carolina Bang).
Due clown, dunque, sono i protagonistiche si contendono Natalia: Javier, ovvero il pagliaccio triste – a lui era stata tolta la gioia fin dall’infanzia, quando aveva visto il padre essere ucciso dai franchisti che lo avevano costretto a lavorare proprio nella valle dei Caìdos – e Sergio, il brutale e possessivo innamorato della bella trapezista che è diversamente attratta da entrambi ma che è riluttante e pavida nel respingere da sé la violenta passione di Sergio, cosicché, incapace di scegliere fra i due che cercano di annientarsi reciprocamente con odio crescente, sarà lei stessa a soccombere
La lotta fra i due clown si svolge senza esclusione di colpi, ed è raccontata in un crescendo grottesco di effetti splatter, che produrrebbero sicuramente raccapriccio se fossero narrati con realismo. Il regista, invece, mi sembra abbia inteso ripercorrere, col linguaggio del cinema, la strada della rappresentazione allegorica e visionaria, presente nella tradizione della pittura spagnola – dal Goya delle mostruose rappresentazioni ispirate al sonno della ragione e dei Disastri della guerra, al Picasso di Guernica, per parlarci di una Spagna, paese di passioni estreme, non sufficientemente controllate dalla ragione, perennemente in bilico fra progresso e oscurantismo cui finisce, infine, volontariamente per soccombere.
In tal modo il film acquista un respiro storico più ampio, non limitandosi a farci riflettere sulle sole vicende della guerra franchista, ma riportandoci anche a meditare sull’intera storia spagnola e in particolare sull’altro periodo storico in cui la prevalenza delle forze conservatrici ebbe la meglio sulle speranze rivoluzionarie che avevano animato, anche in Spagna, gli intellettuali progressisti all’arrivo di Napoleone Bonaparte.
Il film aveva ricevuto il Leone d’argento per la miglior regia nel 2010 al Festival di Venezia, ma era stato distribuito due anni dopo in poche sale. Peccato, perché l’originale ed elegante rappresentazione della Spagna nonché l’accompagnamento musicale, che utilizza persino nel titolo originale la Ballata triste di una tromba *di Nini Rosso, ne fa sicuramente un film da conoscere.
* Balada triste de trompeta
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