Regia di Alex de la Iglesia vedi scheda film
Javier ha visto gli orrori della guerra civile spagnola fin da piccolo e dal padre pagliaccio riceve l’eredità del mestiere nelle vesti di pagliaccio triste. Nel ’73 Javier si presenta ad una compagnia di circo come pagliaccio triste, dovrà affiancare Sergio la star bizzosa e ubriacona fidanzato con la bellissima Natalia. Javier si innamora di lei ma la parola amore sotto un regime dittatoriale ha delle conseguenze incontrollabili. Alex De La Iglesia con BALADA TRISTE DE TROMPETA (struggente canzone di Raphael) sintetizza quarant’anni di franchismo per mezzo della sua lente privilegiata e inconfondibile: il grottesco caricaturale. BALADA è una gigantesca metafora sul significato e soprattutto sul significante della dittatura. Che cosa vuol dire vivere e viverci dentro attraverso le immagini da (re)inventare. Il destino di Javier è segnato, ha visto da sempre troppi errori e cose sbagliate e lo stato delle cose e del circo-metafora del paese lo spingono alla violenza. Violenza chiama violenza (lo ha detto anche Papa Bergoglio dunque...), Javier vede Natalia prendere botte e insulti dal violento e trucido Sergio, il quale è inquietante sia quando è truccato da pagliaccio comico in cui risaltano gli occhi azzurri, sia quando è ubriaco e gode scoparsela con brutalità. Lei Natalia è come la Spagna, è attratta e respinta, lo ama e lo odia, vorrebbe ma non può o non riesce a ribellarsi. Javier dopo essere stato pestato per bene, scappa dalla degenza ospedaliera per liberare Natalia (nel momento di massimo piacere) scende a livello di Sergio sfregiandogli il volto. Ricucito da un veterinario assume i connotati di un mostro (ora anche esteriormente). Il re(gime) è nudo. Sergio non potrà più esercitare il talento paradossale che possiede: far ridere i bambini. Natalia cambia proscenio ma non vita. Javier è costretto alla fuga, viene catturato dal colonnello Salcedo (che ha un conto in sospeso con su familia) per essere ridotto e umiliato a catturare selvaggina come un cane. Calatosi nel ruolo animale morde la mano di Franco e per questo recluso nella villa del kapò di Stato. Javier si deturpa il volto ridiventando un pagliaccio, stavolta sanguinario e con sete di vendetta. La parola che il padre da dietro le sbarre gli aveva raccomandato. Javier ora è un pagliaccio mascherato con addosso dei parametri sacri (giusto per non dimenticare che persino la Chiesa ha fatto la sua parte con Franco al potere). Nel finale spettacolare e iperbolico i due volti del regime perderanno l’unica ragione di vita, l’amore, Natalia, la Spagna. Dentro la caverna le immagini del cantante truccato da pagliaccio Raphael (che in precedenza avevano incantato Javier in un bar e al cinema) commuovono prima della tragedia. De La Iglesia spinge l’acceleratore del suo stile, nel finale eccede, cita se stesso o piace o disturba (fin da AZIONE MUTANTE). La rilettura della storia convince e sa di horror politico grottesco spietato e senza tanti complimenti. Come Almodovar, come Bigas Luna è l’altra faccia della medaglia della Spagna.
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