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Ballata dell'odio e dell'amore

Regia di Alex de la Iglesia vedi scheda film

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La recensione su Ballata dell'odio e dell'amore

di Kurtisonic
8 stelle

Dopo avere perlustrato spazi metafisici ridotti a microcosmi relazionali e deliranti nella Comunidad, o i santuari della compensazione consumistica nel non luogo del centro commerciale del Crimen perfecto, il regista spagnolo Alex de la Iglesia scatena tutto il suo talento visionario e creativo fra le pieghe della storia del suo paese. Dove non c’è stata una riconciliazione con il passato e tantomeno si è espresso un giudizio compiuto sul franchismo dalle cui ceneri si è sviluppata la nuova democrazia. Il regista attinge con passione e dedizione agli illustri predecessori che hanno utilizzato l’ambiente scenico del circo come una metafora primitiva dei sentimenti, delle pulsioni e dei ruoli sociali che dominano la vita umana. Nella “Balada triste de trompeta” c’è la trasfigurazione  felliniana, l’orrore liberatorio dei Freaks e la violenza iconoclasta di Santa sangre. Javier e Sergio lavorano in un circo, il primo ricopre il ruolo del pagliaccio triste, l'altro di quello allegro. Siamo nel 1973, alle soglie della fine del franchismo, coniugando musica e immagini dai titoli di testa si passano in rassegna foto dei protagonisti della storia spagnola, con in­serti giornalistici di repertorio e con efficaci istantanee fotografiche il regista riassume in poche essenziali inquadrature un periodo storico mostrandone l’apparente evoluzione dei costumi e delle nuove abitudini. Non corrispondono però alla trasformazione interiore dei protagonisti, Javier è un immaturo, un’anima candida legato agli insegnamenti di suo padre, clown anche lui durante la guerra civile. Sergio è un essere passionale, amante dei bambini, ma è anche violento, dispotico e brutale, pazzo d’amore per la trapezista Natalia. L’ingenuo Javier si crede innamorato della ragazza, incoraggiato dall’atteggiamento ambiguo di lei. Il triangolo innescherà una serie di eventi tragici che attraverso lo scontro fra i clown determineranno scenari apocalittici per il circo e la loro vita. Ce n'é abbastanza per soddisfare la vena melodrammatica dello scopritore del regista, il Pedro national, ma l’allievo non solo sfrutta la consolidata tendenza all’eccesso liberatorio e giocoso del primo Almodovar, ma estremizzando registri diversi estrae codici linguistici che vanno dal noir al grottesco, dal melodramma all’horror, dal cinema di denuncia storico-politico al gusto per il trash, al dettaglio pop e surreale. Il film si frammenta come un coloratissimo sgargiante  fumettone, abbaglia come un fantasy, appassiona come un thriller. La vicenda che lega i tre protagonisti peraltro è intuibile, ma Alex de la Iglesia è completamente assorbito dai significati che i tre incarnano  e che sono destinati a racchiudere insieme il senso comune di una società, di un paese. Singolarmente i personaggi sarebbero semplici esternalizzazioni della follia, mentre interagendo si trasformano in tragedia collettiva. Mentre la figura femminile resterà fedele a se stessa, cercando di districarsi dalla sua natura contraddittoria, alle prese con la trasformazione del suo ruolo e della sua immagine retorica all’interno della società che si va formando, Javier e Sergio assumono su di loro metamorfosi esteriori imprevedibili e scioccanti, prossime all’orrore. Il regista li impone con il suo stile barocco e provocatorio come testimoni e attori  che costruiscono la futura nazione. La negatività di Sergio si accompagna a sentimenti autentici e viscerali, la sua convenzionalità malvagia in fondo non appare realistica, anche lui si rivela un frutto represso del percorso storico e ne rappresenta l’emblematico valore tradizionale. Javier è la vittima inconsapevole della storia, il suo processo di mutazione fisica è aberrante e mostruoso, il suo cambiamento risulta totalmente fuori controllo (per la gioia del regista che non risparmia dettagli da splatter e citazioni a volontà lungo tutto il film), il suo personaggio è fortemente antisociale e pericoloso, nella sua discesa verso la follia non sa cosa vuole e cosa desidera, e non lo ha mai saputo neanche prima. Javier ribellandosi davanti a ciò che vede, costruisce dentro di sé un percorso di formazione regressivo, animalesco, dal quale non può separarsi. Film dall’animo lacerato e dalla fisicità scomposta ed implosiva, denuncia le filosofie pacificatrici che tendono a nascondere il passato e a cancellare la storia, Leone d’argento a Venezia 2010, con presidente di giuria Q.Tarantino (Sarà un caso che gli sia piaciuto tanto?).       

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