Regia di Aleksei Fedorchenko vedi scheda film
Nella regione della Russia centro-occidentale posta fra i fiumi Volga ed Oka, presso le attuali città di Rostov, Kostroma, Jaroslav e Vladimir, prima del Comunismo, prima degli Zar, prima del Cristianesimo, viveva la tribù ugro-finnica dei Merja del Lago Nero, coi suoi usi, costumi, lingua e rituali; una terra al confine tra oriente ed occidente, territorio di lotta fra Cristianesimo ed Islam. Benché tale popolazione sia stata assorbita dai Russi fin dal XVII secolo, qualcosa ancora ne sopravvive nel quotidiano dei suoi discendenti, soprattutto nei momenti cruciali della vita: la nascita, il matrimonio, la morte.
Aist ha ereditato dal padre, poeta, l'orgoglio di essere discendente dell'antica tribù dei Merija; è la sua voce a raccontarci la storia. Miron, 50enne benestante e rispettato direttore di fabbrica, perde improvvisamente la bella, giovane e amatissima moglie Tanya. Chiede al suo dipendente, ma anche migliore amico Aist, come da tradizione, di aiutarlo a compiere i rituali funebri in suo onore. Per i Merja non esistono divinità, solo pietre sacre e spiriti dei boschi, ma soprattutto Amore e Acqua: quella nell'acqua è considerata la morte più desiderabile; e all'Acqua, dopo essere passata per il Fuoco, deve essere riconsegnata Tanya. Ma non in un luogo qualsiasi, in un "posto felice" che abbia rappresentato qualcosa di bello e di significativo per lei e per l'uomo che tanto l'ha amata. Dopo una lunga, commovente scena in cui i due uomini preparano il corpo della donna, così come le damigelle usano preparare una sposa, partono per la loro destinazione: il villaggio sul fiume Oka dove Miron e Tanya passarono la loro luna di miele.
Sul sedile posteriore dell'auto, accanto al corpo di Tanya avvolto nudo in una coperta, viaggia coi due amici una gabbietta con due uccellini, che non potevano restare a casa senza nessuno che li accudisse: sono gli ovsyanki del titolo, umili passerotti tipici della Russia, che accompagneranno tutto il viaggio col loro lieto cinguettio. Partono Aist e Miron, attraversano questo territorio così enorme, così piatto, così eguale, queste vastissime acque immobili che osserviamo con loro dal finestrino dell'auto. Parla a lungo Miron, la moglie gli manca tanto. Confida all'amico i particolari fisici più intimi della relazione con lei, affinché, come da tradizione, il dolore si trasformi in tenerezza: non c'è imbarazzo, si fa così, da sempre. E in attesa dei riti per Tanya Aist rivive i precedenti, strazianti riti compiuti per la madre, morta quando era ancora bambino.
Un viaggio di confidenze affettuose e di lunghi silenzi, che mostra a noi occidentali questa sconosciuta "nuova" Russia dominata dai contrasti, dove Suv e cellulari convivono con riti ancestrali e antiche spiritualità. Un film sul dolore, sul lutto visto per una volta con occhi maschili, sulla morte come inevitabile momento della vita. Percorso da tristezza e nostalgia, più forte di tutto è però il desiderio di condivisione del dolore con un'altra persona, in modo da diluirne la pena. Nonostante tutto è alla fine un delicato omaggio all'amore, alla femminilità, alla tenerezza, al ricordo.
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