Regia di Daniele Gaglianone vedi scheda film
Pietro distribuisce i volantini. Nelle buche delle lettere, sui parabrezza delle auto, in mano alle persone. È così che si guadagna da vivere. Lavora in nero e praticamente a cottimo, ed i pochi soldi che riceve servono anche per comprare la droga al fratello maggiore Francis, disoccupato e dedito all’eroina. Il suo mondo è quello: la casa che gli hanno lasciato i suoi genitori, una vita familiare fatta a pezzi, il suo disagio mentale. Pietro è un tipo lento e solitario. Gli piace leggere e disegnare con le matite colorate. Non sa stare in compagnia, però, per gli amici di Francis, si presta a fare il buffone, con quella faccia che, a comando, sa farsi di mela, di limone, di banana. Daniele Gaglianone, ancora una volta, entra di traverso nel racconto di una vita storta. Una di quelle che si possono solo osservare da un’angolazione marginale, per poterle mettere a fuoco senza doversi confrontare con una realtà troppo anomala ed imbarazzante per essere guardata dritta in faccia. Un handicappato e un tossico. Soli al mondo, costretti a fare affidamento uno sull’altro, senza potersi davvero aiutare. La situazione è riassunta nell’espressione eternamente sbigottita di Pietro, fissa nello sgomento di chi ce la mette tutta, eppure sa di essere del tutto indifeso. Intorno a lui non v’è nulla di buono, e nulla di normale. La gente è ovunque arrogante e cinica, non comprende la diversità, forse un po’ la teme, e in ogni caso ama farsene beffe, in pubblico e in privato. Ciò che Pietro percepisce, nelle reazioni degli altri, è soltanto il suo essere strano, inadeguato, indegno di rispetto. In questo film è però lui il centro dell’universo: è lo scoglio fermo e immutabile in mezzo al mare agitato dell’imperante volgarità. È un buffone bonario e genuino fra tanti buffoni che non fanno ridere, perché sono tristi fantocci asserviti alla rabbia oppure incupiti dall’indifferenza. L’eccezione diventa allora la sola fonte di verità: non è infatti quella di Pietro, la visione distorta della realtà. Pietro è colui che non capisce, ma è l’unico individuo lucido, in grado di accorgersi della stupidità, della miopia, della futile superficialità da cui è circondato. Per assegnargli quel ruolo, è bastato renderlo il protagonista passivo di una storia che, per il resto, si agita in maniera cattiva, demenziale e sguaiata, come in un brutto numero comico. L’attore Pietro Casella proviene dal teatro e dal cabaret. Eppure la forza del suo personaggio risiede proprio nel suo mancato istrionismo, nella sua capacità di essere un pupazzo privo di carattere e pieno di domande, uno spettatore muto, ma attentissimo, di eventi sui quali non ha nessun potere. Il suo stupore imbelle è la lente di ingrandimento che mette in evidenza la banale disumanità di un certo degrado metropolitano, inquadrandola dalla sua prospettiva prudentemente defilata, gelosa della sua indipendenza. Pietro presenta la comune assurdità vista attraverso le pareti trasparenti di una bolla: una bolla che danza a lungo, nell’aria, muovendosi negli angoli, saltando tra i muri, prima di decidere che è giunto il momento di scoppiare.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta